(A.Catapano) Ore 10.30, sole e vento su via dell’Ippodromo di Tor di Valle, un tempo la storica dimora del trotto italiano, prossimamente (?) la grande casa della Roma. Un progetto faraonico, annunciato ormai dieci mesi fa, che, però, non è stato ancora presentato né alla stampa né ai tecnici del Comune, che dovranno dargli l’ok. Ora si dice che lo scopriremo entro Natale, ma – rileggendo gli annunci di Pallotta – avremmo dovuto conoscerne ogni dettaglio prima «entro maggio», poi «entro settembre». E intanto, qui dove un giorno sorgeranno stadio, campi, ristoranti, negozi, parcheggi e magari pure eleganti unità abitative (sempre che si trovino i soldi), oggi c’è una cattedrale abbandonata che, annuncio dopo annuncio, perde pezzi e dignità.
UNA MATTINATA A TOR DI VALLE Una guardia giurata requisisce documenti all’ingresso, un anziano driver tedesco gironzola a caccia di sigarette. «Venite da parte di Parnasi?». No, non cerchiamo il prossimo proprietario, vogliamo quello attuale: Gaetano Papalia. Già, è ancora lui il re (caduto da cavallo) di queste terre. Ultimo rappresentante di una famiglia che ha fatto la storia dell’ippica, oggi è vittima dei suoi errori, della malapolitica agricola italiana, della morsa di Equitalia e di un contratto – la cessione di quest’area al costruttore Luca Parnasi – che è stato onorato solo in minima parte. E che rischia di diventare carta straccia «se il tribunale fallimentare di Roma manderà tutto all’aria!». Che Parnasi abbia annusato l’aria? Così, in attesa dell’udienza, Papalia si è barricato in una palazzina nell’area delle scuderie. Da cui esce solo per annunciare: «Vivo qui e ci resterò finché qualcuno non mi porterà via. So che la Roma trasferirà qui tutte le sue strutture, anche i campi d’allenamento di Trigoria. Ma io non mi arrendo, sono come quel soldato giapponese per cui la guerra non era finita…».