(F.Canale) – Ci sono tecnici che godono di buona stampa e che, per grazie divina, raccolgono elogi al di là dei loro effettivi meriti venendo considerati dei predestinati. È il caso di Luis Enrique, straordinario giocatore ai tempi delBarcellona, che deve però ancora dimostrare di poter allenare a certi livelli.
Dopo due stagioni alla guida della Primavera blaugrana e l’esperienza romana, Lucho è ripartito da Vigo. Quart’ultimo in classifica con 9 punti, il Celta arriva alla sfida di stasera contro il Barcellona forte della roboante vittoria per 5-0 sul campo delMalaga, una boccata d’ossigeno salutare che ha avuto l’effetto di un brodino caldo per una squadra ancora convalescente.
Il Celta infatti ha evidenziato in queste prime 9 giornate di campionato i difetti di sempre delle formazioni allenate dal tecnico asturiano, ovvero quelli di una squadra senza equilibrio che corre troppi rischi rispetto alle palle gol che crea. A ciò vanno aggiunte la presunzione e la mancanza di umiltà di un allenatore che alla vigilia della gara col Barça sostiene con convinzione: “non firmerei per il pareggio”.
Niente di nuovo, direbbero a Roma, dove nel giro di pochi mesi si è passati dal sogno di poter trapiantare il tiki-taka all’incubo di vederlo violentare. L’esperienza capitolina è stata fallimentare sotto i tutti i punti di vista. Il primo campanello d’allarme era suonato già ad agosto quando Lucho pensò bene di presentarsi al pubblico giallorosso sostituendo Totti con il carneade Okaka in un turno preliminare di Europa League (con conseguente eliminazione della Roma). Come se il Tata Martino avesse cambiato Messi con Jeffren in una partita di Champions League in bilico. Follia pura!
Da quel momento è stato un campionario di scelte quantomeno discutibili, a cominciare dallagestione dello spogliatoio. Molta autorità e poco autorevolezza, come quei professori che cercano di ristabilire l’ordine in classe a colpi di note punitive. Nello spogliatoio però i cancellini sono continuati a volare per mesi nonostante le esclusioni di Osvaldo (per un diverbio con Lamela) e di De Rossi (per un ritardo di pochi minuti alla riunione tecnica prepartita di Bergamo). Senza dimenticare le umiliazioni impartite a Bojan, giocatore – secondo le male lingue- relegato ai margini dopo la partecipazione (concordata peraltro con la società) ad un programma televisivo in cui parlava del Barça.
Persino quelli che erano i suoi più stretti collaboratori, col passare del tempo, si sono resi conto di quanto fosse difficile convivere con le gelosie di un allenatore che non voleva perdere l’esclusività del rapporto con i propri giocatori e condividere con loro i meriti dei successi.
Lucho è così, prendere o lasciare, uno che ha una considerazione smisurata di sé e che non scende a compromessi con nessuno, neppure con se stesso. Motivo per cui, logorato nel fisico e nei nervi, decise di abbandonare la barca, dimostrando di non poter reggere ancora le pressioni di una grande piazza.
Sarà forse per questo che il Barça, dopo l’addio di Vilanova, ha preferito optare per l’equilibrio di un uomo come Tata Martino. Tesi confermata, qualche tempo fa, da un altissimo dirigente blaugrana che –off the record– affermava: “Se non fosse per il suo carattere, Luis Enrique oggi allenerebbe il Barcellona”.