(A. Angeloni/M. Ferretti) – Bravo tra i pali, bravissimo davanti ai taccuini. Esperienza, oltre a un pizzico di classe. Morgan De Sanctis, il portiere meno battuto d’Europa, racconta la Roma capolista. E si racconta, non senza sincerità.
De Sanctis, venire a Roma è stata la scelta giusta?
«Direi di sì. L’avevo sfiorata già nel ’95, poi presero Sterchele».
Esordio in A contro la Lazio.
«Come non ricordarlo? Ero alla Juve, mi fece gol Salas. Sicuramente andò meglio la prima in B, con una vittoria. E alla seconda presenza ho parato un rigore a Vieri».
Parliamo di una vita fa: quanto è cambiato il ruolo del portiere?
«Negli ultimi venti anni, poco. Anche se sono cambiate parecchie regole. La vera rivoluzione, per chi ricopre un ruolo di reazione, è l’utilizzo di materiali sintetici. In primis il pallone. In quel momento è cambiato il ruolo, specialmente per i portieri e i difensori».
Il suo modello da bambino?
«Sono cresciuto con Zenga e Tacconi. Più il primo che non il secondo. Giocando ho scoperto che la perfetta sintesi del portiere era la tecnica di Marchegiani e l’esplosività di Peruzzi. Credo che oggi chi racchiude questa simbiosi è senz’altro Buffon».
È vero che il portiere deve essere pazzo?
«Non ne sono troppo convinto, specialmente se pensiamo a un mito come Zoff. Per me chi gioca in porta deve essere diverso, e io penso di esserlo. Detto tra noi, con i piedi ero scarso e così mi sono messo in porta. Ero affascinato dai guanti».
Lei passa per un chiacchierone nella vita e in campo. Non rischia di essere attaccato al muro da qualche suo difensore?
«Diciamo che sono un uomo sensibile. So quando devo fermarmi e non esagerare. Anche mia moglie dice che devo stare zitto…».
Lei è un saggio, quindi può parlare.
«Pure questa cosa dei saggi… Fin ora nessuno mi ha dato ufficialmente questa carica».
Però ha quasi aggredito De Rossi dopo l’ammonizione presa con il Bologna.
«Già, me la sono presa tanto con lui perché non è possibile prendere un giallo sul cinque a zero. Poi ci ho riflettuto e mi sono detto: Daniele è stato così altruista da beccarsi l’ammonizione per evitare un gol. E dall’arrabbiatura sono passato alla convinzione che c’è un grande gruppo. Un altro segnale, in questo senso, è la concentrazione con la quale entrano in campo i panchinari. Danno sempre un’impronta alla partita».
Uno è il suo amico Borriello.
«A Parma mi ha salvato un gol, contro la Samp ho ricambiato il favore…».
Oltre a parare, cosa le chiede Garcia?
«Devo cominciare a fare gioco. Mi riesce facile perché davanti ho gente di personalità, che non ha paura di ricevere il pallone. Provo solo a fare cose semplici. Il piede caldo non è la mia principale caratteristica».
E poi non prende quasi mai gol…
«Tutto ciò che sta accadendo va oltre ogni ottimistica previsione. Ma è tutto meritato».
Oggi firmerebbe ancora per il quinto posto?
«La Roma deve giocare per le prime cinque posizioni, questo è il concetto e lo ribadisco. Che poi questa squadra possa raggiungere obiettivi ora impensabili lo scopriremo presto. Non lo sappiamo nemmeno noi dove possiamo arrivare».
Quindi la Roma continua a nascondersi: non è da scudetto?
«Aspettiamo la fine del girone di andata poi risponderò».
Se lei fosse un semplice appassionato di calcio, giudicherebbe la Roma da scudetto?
«Allora dico che per ora lo sono di più il Napoli e la Juve, non tanto per i valori tecnici, ma per l’abitudine a stare nelle prime posizioni».
Cosa l’ha colpita di Garcia?
«Si è subito posto bene, mi ha sorpreso il modo e il tempo che ha impiegato a imparare l’italiano. Nel modo di giocare, inoltre, ha capito subito il nostro calcio. Magari in Francia era più spregiudicato, qui cura molto la fase difensiva».
Lei nell’accettare la Roma non ha avuto alcun dubbio?
«Ero consapevole che questa fosse una squadra forte, mi sono andato a rivedere i punti che negli anni passati aveva fatto con le grandi e sono rimasto impressionato. Ho lasciato Napoli per situazioni che mi hanno ferito. Sapevo che la Roma poteva e voleva costruire una grande squadra, compatibilmente ai conti e alle finanze. Ci sono riusciti e ora stiamo cominciando ad ottenere i risultati. Siamo consapevoli della nostra forza e chissà dove possiamo arrivare».
I giocatori d’esperienza sono stati scelti ad hoc.
«Forse servivano proprio questi. Adesso c’è un giusto mix di giovani e vecchietti di personalità».
Prima parlava di Napoli. Forse le toccherà andare presto al San Paolo…
«Alt. La partita si deve giocare all’Olimpico, senza se e senza ma. O sabato, o venerdì, ma all’Olimpico, come da calendario. So che il prefetto è campano e se non sbaglio tifoso del Napoli. Non vorrà mica che questa situazione venga strumentalizzata… È vero, c’è una manifestazione importante, ma l’alternativa c’è».
Prima c’è l’Inter…
«Una grande squadra, che ci dirà di che pasta siamo fatti. Una bella prestazione può aumentare l’autostima. Figuriamoci, io di autostima ne ho già tanta».
Si troverà davanti Mazzarri.
«Per me è quasi una divinità. Un allenatore bravissimo, un esempio per tutti su come gestisce la fase difensiva. Io a Napoli l’ho avuto quattro anni: ogni stagione è riuscito a fare più di quello che erano le nostre possibilità. Dall’esterno è uno antipatico, lamentoso, poi l’ho conosciuto e non è così. È solo un’immagine che trasmette agli altri. Ha pochissimi difetti e per noi non sarà facile. Ma io già so come potrà affrontarci».
Ce lo dica.
«Se lo conosco bene, in fase di non possesso, si metterà a quattro. Come si batte l’Inter? Vediamo. Dico solo che ci vuole pazienza, ce l’ha detto anche l’allenatore. Non dobbiamo farci prendere dall’ansia».
Inter-Roma è anche De Sanctis-Handanovic.
«Lo conosco bene dai tempi dell’Udinese. È cresciuto con me. Lui ha sempre dichiarato di avere una grossa considerazione di me, questo mi inorgoglisce. Samir è un grande portiere e quest’anno, con Mazzarri, prende meno gol».
Si parla di scudetto, di campionato ad alto livello poi vedi la Juve che si becca un po’ troppi vantaggi arbitrali e diventa tutto più difficile. Giusto?
«Voglio ancora pensare che alla fine gli errori si compensino. Vi assicuro, è complicato fare l’arbitro, specialmente in Italia. Ma una cosa la voglio dire: la classe arbitrale di oggi è giovane, più brava e più libera, poi mi rendo conto come non sia così facile eliminare una certa sudditanza psicologica. Comunque non c’è paragone con il passato. All’estero i nostri arbitri fanno sempre bella figura, li vedo più sereni. E mi piacerebbe che quella serenità la trasportassero anche nel nostro campionato».
Avete fatto una mini tabella tra Inter e Napoli?
«La cosa più importante sarà verificare la nostra forza contro avversari diversi, più forti rispetto a quelli che abbiamo incontrato finora. Diciamo che in queste due partite si alzerà l’asticella e noi dovremo essere bravi a confermare quanto di buono abbiamo fatto finora».