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IL MESSAGGERO La dolce musica di Pjanic

Esultanza

(A. Angeloni) Se ci ripensiamo oggi, ci scappa la lacrima: Miralem Pjanic non ha giocato la finale di Coppa Italia. A cinque mesi di distanza ci si chiede ancora perché. Ma la risposta non è mai pervenuta. Pazienza. Il passato è passato e forse quel 26 maggio è rinato anche Mire, mettiamola così. Di quel giorno, ha solo pagato le dichiarazioni fatte pro Lulic. Dopo un paio di anni in giallorosso con molti alti e bassi, ma senza mai nascondere il talento però, quello sì, sempre abbagliante, il bosniaco torna ad essere il gran bel calciatore di Lione. «Ma non voglio mettermi evidenza solo io, gioco in una grande squadra», le parole di Mire. Con una punizione magica e una sassata su rigore senza dubbio è lui il protagonista, però. Il pianista, così lo chiamano da sempre, è l’artefice di un volo e di un sogno che la Roma non smette di cullare.

LE GEMME
  – Rigore a parte, segna solo gol belli. È il destino di Pjanic che ormai s’è scelto pure la porta per le gemme, quella sotto la nord. Lì dipinge o, per riferirsi al suo soprannome, il pianista appunto, suona. Una musica dolce, un altro assolo, dopo quello con il Verona e il pallonetto a Rafael, sempre sotto la Nord. Stavolta per suonare ha scelto una punizione, imprendibile per Reina. La quarta da quando veste la maglia della Roma: una con il Bologna ai tempi di Luis Enrique, due lo scorso anno, nel derby con Zeman e a Bergamo con Andreazzoli in panchina e una ieri sera. Prima doppietta, invece. «L’anno scorso non ero contento. Oggi è bello che ci sia euforia, mi piace l’atteggiamento che abbiamo. Chi entra fa la differenza, così arriviamo lontano. Non sono un visionario. Questa Roma sa soffrire. I gol? Sono felice, è la mia prima doppietta. Ma lo sono di più per la vittoria». Lo sarà ancora di più quando firmerà il rinnovo, che ad oggi resta un dilemma.

IL DESTINO DI MIRE
 – Un segno del destino, la punizione. Che avrebbe tirato Totti, uscito invece dal campo un quarto d’ora prima. Una magìa quel tiro. Un calcio alla Juninho Pernambucano, suo maestro brasiliano dai tempi di Lione o, per rimanere in tema napoletano, alla Maradona, presente all’Olimpico e pure compiaciuto per il gesto tecnico del bosniaco. Quando la classe non ha colore.

DALLE LACRIME IN POI 
– E pensare che Pjanic è arrivato a questa partita col morale in cielo ma acciaccato e stanco per gli impegni con la sua nazionale, quella Bosnia che per la prima volta nella sua storia parteciperà a un Mondiale. «Un popolo si è fermato per guardarci, sono orgoglioso. Quello che è successo al mio paese, è un sogno. Per me è una settimana magica». Le lacrime di Miralem per il traguardo dopo la vittoria con la Lituania hanno fatto il giro del mondo. Una commozione che vuol dire tutto per lui, scappato dal suo paese con la famiglia ai tempi della guerra. Lui, un ragazzo diventato uomo molto presto, che, ancora minorenne, ha segnato, con la maglia del Metz (contro il Sochaux), il suo primo gol da professionista: su rigore, nell’ormai lontano 15 dicembre del 2007. Garcia lo ha trattenuto con le unghie, adesso mire è il faro del centrocampo. Il rigore nella ripresa è solo l’ultima nota di una sinfonia che è appena cominciata. Il pianista non è stanco.

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