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IL MESSAGGERO La Roma non finisce mai

Esultanza gol

(U. Trani) – Dieci minuti a chiedersi: e ora? Metaforicamente è l’atteggiamento dei giocatori giallorossi subito dopo l’uscita dal campo di Totti. Spaesati e in parte condizionati dall’imprevisto. Ma è proprio in quei seicento secondi che la Roma si svela al campionato e si mostra squadra. E’ il gruppo a emergere prima dei singoli, l’unione che dà forza alla capolista. E se i singoli, oltre alla fisicità, hanno qualità e personalità, l’ottava vittoria (13 punti più di un anno fa) diventa la conseguenza scontata di chi psicologicamente non ha più paura di niente e di nessuno. «We can». Anche senza il loro punto di riferimento.

QUESTIONE DI TESTA

La gara con il Napoli è stata la più equilibrata. In bilico e sofferta. Non solo per l’avversario che tatticamente sa stare in campo. Per tanti altri motivi. Diversi giocatori non sono al meglio, compreso Totti che si arrende per primo. Da Maicon, al rientro, a De Rossi, costretto a saltare le due gare con l’Italia per una lieve pubalgia. Da Strootman che soffre a un tallone a Gervinho che ha un affaticamento muscolare. Da Pjanic che è al settimo cielo per la storica qualificazione mondiale della Bosnia e che deve però fare la quarta gara in tredici giorni a Florenzi che ha dolori sparsi un po’ dappertutto. Quest’ultimo e l’ivoriano hanno detto stop come il capitano, ma lasciando prima il segno: Gervinho ha conquistato la punizione dell’1 a 0 e Florenzi crossato per il rigore del 2 a 0. «Una squadra di uomini veri» l’elogio di Garcia a Milano. Oggi è giusto chiamarli uomini e basta. Non è un caso che la chance migliore il Napoli l’abbia avuta un paio di minuti dopo la resa di Totti: Pandev solo davanti a De Sanctis. E il portiere risulta decisivo come lo è stato contro l’Inter proprio il capitano. Vale un gol l’intervento dell’ex partenopeo che non prende reti da 501 minuti. Al resto pensa De Rossi, ora capitano: sforbiciata al pallone e calcio d’angolo. Il coinvolgimento è totale. E anche il palo di Insigne è in quei dieci minuti di blocco mentale: tutti a chiedersi se il primato in classifica si poteva difendere pure senza Totti. Eccolo Maicon a sinistra e non a destra, in soccorso di Dodò, che è ancora acerbo e che proprio dal connazionale (e da Castan) era stato catechizzato prima del match, e per sbilanciare il giovane attaccante partenopeo.

COLPO DI GENIO

Pjanic suona per l’ottava che ha il valore della nona. Otto è il record di Trapattoni e Platini nella stagione ’85-86 (la Juve ci riuscì pure in quella ’30-’31), ma Garcia va oltre. In assoluto ha il top: miglior difesa, attacco e differenza reti. Il primato in bianconero di Capello è superiore: 9 successi (in Europa, nel ’60, il Tottenham arrivò a 11). Il titolo del 2006, però, se l’è ingoiato Calciopoli. Le punizioni, si sa, toccano quasi tutte al capitano. Che non c’è. Miralem ha la stessa ispirazione. O forse a trasmetterla al bosniaco è Maradona dalla tribuna, tra un brindisi e un sorriso. L’arcobaleno di notte non si era mai visto: l’ha inventato Pjanic.

CLASSE OPERAIA

Da ieri la difesa, per la distrazione momentanea dell’Olympiakos, è la migliore d’Europa (sempre Capello riuscì a prendere una rete in 8 giornate, stagione ’93-’94 con il Milan, ma senza l’en plein di successi). Nella ripresa, venerdì sera, sono in undici sotto la linea della palla. Nemmeno Spalletti arrivò ad ottenere tanto, anche se lo avrebbe desiderato. Il 4-1-4-1 è l’umiltà fatta sistema di gioco. Si sacrificano tutti, per primi Borriello che conquisterà espulsione e rigore. Sono lì, mano nella mano, a blindare la vittoria e preparare la fuga. Per salire a più 5 sul Napoli e sulla Juve che però giocherà oggi (al Franchi contro la Fiorentina). La Roma, solida e compatta, si tiene tutto. Risultato, imbattibilità e primato. Con il collettivo davanti a tutto. E a tutte.

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