(A. F. Ferrari) – Tracciate una linea che parte da Sarejevo, passa da Roma e arriva in Brasile. Non è una linea retta ma per il Giotto romanista non sarà mai un problema, anzi. È stata una settimana a dir poco emozionante per Miralem Pjanic. Una settimana che lo ha visto prima gioire e piangere per la storica qualificazione della sua nazionale al prossimo Mondiale in Brasile e poi essere decisivo nella vittoria di venerdì sera contro il Napoli in cui ha segnato la sua prima doppietta in Italia. Una settimana che ricorderà per tutta la vita e che gli ha fatto perdere le parole: «Oggi non so proprio che dire… Dite voi!! Dajeee», ha scritto su Facebook subito dopo la vittoria contro gli azzurri.
Un’emozione forte ma non paragonabile, comprensibilmente, con la gioia provata dal bosniaco martedì scorso. Una giornata storica per la Bosnia che, grazie alla vittoria contro la Lituania, si è qualificata (per la prima volta nella sua storia) ai Mondiali in Brasile. Un emozione così forte che l’ha portato a piangere di gioia e abbracciare chiunque gli capitasseatiro. Una reazione comprensibile perché Miralem quel momento lo aspettava da una vita, da quando a 13 anni prese un pullman per fare un viaggio di circa venti ore dal Lussemburgo alla Bosnia solo per andare allo stadio a vedere la nazionale del suo paese d’origine che lasciò all’età di due anni. Un addio deciso dal padre (Fahrudin Pjanic) per salvaguardare la propria famiglia dalle stragi che hanno devastato l’ex Jugoslavia negli anni ’90. Miralem si trasferì quindi in Lussemburgo dove iniziò la sua carriera nel Schifflange 95. Poi nel 2004 il passaggio al Metz dove rimase fino al 2008, anno del trasferimento al Lione. Ed è qui che conobbe il suo “mentore”,Juninho Pernambucano. Ovvero colui che gli ha insegnato a tirare (e spesso segnare) le punizioni.
Da lui, infatti, il centrocampista bosniaco a studiato la tecnica, i trucchi, i segreti di come si calciano le punizioni e, a giudicare dai risulati, Mira ha studiato bene. Così bene che, qualche anno dopo, è diventato l’erede del suo “mentore”. «Ho chiamato Juni prima del campionato per chiedergli il permesso di indossare la sua maglia », spiegò Pjanic nel settembre del 2009. Due anni dopo è poi approdato alla Roma con cui, fino ad ora, ha segnato quattro calci di punizione: uno il primo anno (contro il Bologna), due il secondo anno (contro Lazio e Atalanta) e uno, per ora, in questa stagione (venerdì sera contro il Napoli).
Ma Pjanic non è solo un eccezionale tiratore di punizioni, anzi. In queste prime otto partite ha, infatti, spesso fatto la differenza prendendo per mano las quadra giallorossa come è accaduto anche venerdì sera contro il Napoli, dopo l’uscita per infortunio di Francesco Totti. Mira, infatti, oltre a segnare i due gol, ha smistato palloni, creanto numerose ripartenze e sbrogliato diverse situazioni difficili. Insomma, si è meritato numerosi otto in pagella e gli apprezzamenti di Rudi Garcia: «Punizioni come Juninho? È vero, sa calciare come lui però sono differenti. Mi piace vedere Pjanic. La sua posizione centrale è una meraviglia». E pensare che, se non fosse stato per l’allenatore giallorosso, Miralem la scorsa estate sarebbe potuto partire. È stato, infatti, Garcia a porre il veto sulla sua cessione anche perché «sapevo che con un centrocampo con De Rossi, Strootman e Pjanic saremmo stati troppo forti – le parole del francese dopo Roma-Napoli -. È il cuore del mio gioco». Il Giotto della Roma.