(D.Galli) – «Sono solo insulti. Possono essere brutti, antipatici, volgari, cafoni quanto volete. Ma sono solo insulti». Non sono discriminazione territoriale, non c’entrano nulla. L’avvocato Lorenzo Contucci, penalista, vicepresidente dell’azionariato popolare MyRoma, è però una goccia d’acqua pulita nell’oceano inquinato del pensiero medio e omologato, che bolla come discriminanti i cori contro i napoletani ma non quelli contro i romani, che si scandalizza per della roba da stadio, roba vecchia come il calcio, roba che resta confinata tra due curve, e che invece non si scandalizza perché un romanista di Rieti, come uno di Viterbo, di Frosinone o di Latina non è potuto andare allo stadio per Roma-Napoli perché non abitava nella provincia di Roma. Contucci parte dalla definizione stessa di discriminazione: «È discriminazione quando a una categoria di persone si riconoscono dei diritti e a un’altra no. Nel momento in cui questo non avviene, non si tratta di discriminazione. Si tratta di insulto».
Contucci, ha letto il comunicato del giudice sportivo?
Premessa. Di recente ho saputo che del personale (della Procura federale, ndr) viene mandato all’interno delle curve, in incognito, per registrare anche solo su un taccuino i cori che vengono fatti. Nella loro ottica, il comunicato ne prende nota. È accaduto sia per i cori della Sud che per quelli della Nord. Anzi, specialmente per quelli della Nord, perché ovviamente era più a contatto con i tifosi del Napoli. Quindi c’era una rivalità più diretta, almeno dal punto di vista “visivo”. È una forma quantomeno voyeuristica di seguire ciò che dice una tifoseria. Più che altro mi dovrebbero spiegare perché il coro «romano bastardo» – e non «romanista bastardo», attenzione – non è ritenuto discriminazione territoriale, e un altro coro “becero” invece sì (quelli sui napoletani, ndr). E se io domani faccio uno striscione dove c’è scritto «napoletano bastardo», cosa succede? È discriminazione territoriale?
Probabilmente sì. Romano bastardo non è discriminazione territoriale, ma napoletano bastardo potrebbe esserlo.
E allora mi chiedo: è discriminazione territoriale solo quando riguarda i tifosi del Napoli? La discriminazione è qualcosa di diverso dall’insulto. L’insulto è rivolto alla persona. Quindi può esserlo «napoletano bastardo», perché è un insulto basato su un aspetto territoriale. La discriminazione è quando io a un napoletano, o a un romano, o a una persona di colore o a un bianco in Nigeria dico: tu non puoi entrare in uno stadio perché sei napoletano, o romano, o di colore o bianco in Nigeria. Se quindi andiamo a vedere bene, nell’ambito delle disposizioni del pianeta calcio, quand’è che si assiste alla vera discriminazione? Risposta: in quelle sulla vendita dei biglietti. Se tu sei romanista ma sei di Napoli, non hai potuto comprare i tagliandi di Roma-Napoli. Adesso voglio che qualcuno mi smentisca, che mi dica se ho ragione o torto. Lo chiedo ad Abete. Al presidente della Figc, Abete. Ecco, Abete può rispondermi?
Curioso che ci si ricordi solo ora degli insulti a sfondo territoriale, chiamiamoli così.
Esistono da sempre. Esistono da quando è nato il calcio. Forse tempo addietro erano più coloriti e meno esasperati. Ma davvero si pensa che pisani e livornesi non si sono mai insultati allo stadio? In un Paese che si fonda sul campanilismo, dove Allumiere detesta Tolfa, le pare che questi insulti non sono mai stati registrati prima negli stadi? La differenza è che in passato non c’erano gli ispettori con i microfoni che andavano nelle curve, altrimenti dal 1898 fino al 2013 trequarti delle partite si sarebbero dovute disputare a porte chiuse. Se le stesse norme federali sulla discriminazione si applicassero ai parlamentari, le Camere sarebbero vuote. Perché mi sembra che anche in Parlamento si sentano degli insulti territoriali, o no?
Senza contare che là in mezzo c’è un partito come la Lega Nord che in fatto di discriminazione territoriale ne sa qualcosa… Aggiungo io. Un partito che all’Italia ha dato addirittura un Ministro dell’Interno. È come se in Inghilterra fosse stato fatto Ministro dell’Interno il capo del Sinn Féin, o in Spagna il presidente dei Paesi Baschi.
Capitolo stampa. Che giudizio si è fatto su alcuni recentissimi commenti radical chic sulla discriminazione territoriale?
Detesto la stampa radical chic. La definisco “ridicol chic”. Si tratta di persone che senza avere un particolare seguito a livello personale hanno la fortuna di scrivere su giornali che hanno interessi nella grande economia e hanno il potere di influenzare l’opinione pubblica. Questi signori sono stati zitti per trent’anni, e quando c’è un leitmotiv da cavalcare, secondo l’onda del politically correct, non si tirano indietro.