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IL ROMANISTA De Rossi, questione di strappi

De Rossi

(V.Meta) Uno strappo è per sempre. C’era una bandiera in più all’Olimpico, il 3 ottobre di nove anni fa: era la maglia di Daniele De Rossi, recisa di netto sulla schiena all’altezza del numero (era ancora il 4) giusto in tempo perché lui potesse farla sventolare sotto la Sud dop aver segnato all’Inter il gol che quella notte permise alla Roma di strappare (appunto) il 3-3 a tempo quasi scaduto.

Peccato che a guardarselo non ci fosse il primo Rudi della sua vita: Voeller aveva dato le dimissioni dopo la figuraccia di Bologna sette giorni prima e al suo posto era arrivato Gigi Delneri ed era merito di De Rossi se quella sera poteva uscire indenne dall’esordio sulla panchina della Roma. In mezzo, fra Rudi e lo strappo, c’era stata Madrid, stato di eccezione con Ezio Sellareggente, che aveva visto i giallorossi andare a schiantarsi al Bernabeu, non prima di essere passati in vantaggio con il ragazzino che proprio quella notte fece innamorare Florentino Perez.

D’altra parte, fra De Rossi e l’Inter si può dire che sia sempre questione di strappi. I nerazzurri sono il suo bersaglio preferito, visto che fra campionato e Coppa Italia è andato a segno contro di loro per sei volte. Dopo la notte della maglia al vento, Daniele deve aspettare due anni e mezzo per ripetersi: ci riesce il 9 maggio 2007, finale d’andata di Coppa Italia, dopo mezz’ora la Roma vince 4-1 e lo stadio canta ”Mancini mettete a sede”. Finirà 6- 2, il resto è storia. Come storia è la Supercoppa Italiana che la squadra di Spalletti va a giocare a San Siro tre mesi più tardi: per sbloccare la partita serve un calcio di rigore, Totti (che se l’è conquistato) cede il dischetto a De Rossi che va e non sbaglia.

Passa un anno, la Roma arriva all’ultima giornata a un solo punto dall’Inter degli aiutini. A Catania come a Parma si dovrebbe giocare a porte chiuse, invece al Massimino ci sono duecento persone a bordo campo mentre al Tardini nell’intervallo decidono direttamente di aprire i cancelli. Il resto lo fa Ibrahimovic, lo scudetto se lo tiene l’Inter, ma a fine partita De Rossi dice quello che tutti pensano: «Ci sono state sette-otto partite falsate – la sua accusa – e alla fine i mesi decisivi sono stati quei due in cui l’Inter faceva fatica e nonostante questo ha vinto nove partite su nove. Questo non è calcio». Parole che gli sarebbero costate il deferimento.

Nemmeno la quarta rete ai nerazzurri in Supercoppa avrebbe smorzato la rabbia, perché dopo il 2-2 dei tempi regolamentari, i rigori avrebbero premiato l’Inter. È il primo impegno ufficiale della gestione Mourinho, uno degli estimatori più convinti di De Rossi al punto da volerlo con sé anche al suo ritorno al Chelsea la scorsa estate. Eppure è lui l’allenatore nerazzurro cui Daniele ha segnato di più. Il secondo sgarbo glielo fa il primo marzo 2009, un colpo di testa in un altro 3-3, fra i pochi acuti di una stagione incolore per la Roma. Il meglio arriva l’anno dopo, quando il suo gol inaugura la notte magica del 2-1 dell’Olimpico che lancia la rimonta romanista a uno scudetto meritato e mai arrivato. È l’ultimo gol di De Rossi con la Roma prima del 25 agosto 2013, prima che a Livorno qualcosa finisca e qualcos’altro cominci. In panchina c’è il secondo Rudi della sua vita. Anche per lui, questione di strappi.

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