(M.Izzi) La redazione del Romanista mi chiede una rapida carrellata delle tre stagioni scudetto rilette alla luce del contributo fornito dagli uomini della panchina. L’argomento m’intriga, ma voglio essere sincero, non so fino a che punto il parallelo possa tenere rispetto all’attualità. Le cosiddette “riserve” degli anni più lontani da noi (quelli del primo scudetto) nascevano realmente per accomodarsi in panchina o in tribuna e restarci, salvo infortunio, sino alla fine della stagione. Se oggi un calciatore mette assieme un’annata in cui non riesce ad affacciarsi mai in prima squadra, ha certamente fallito il suo obiettivo, che è naturalmente quello di rendersi utile alla causa. Gli allenatori, non a caso, ormai da decenni, parlano di rosa titolare, mai di squadra titolare. Fatta questa premessa possiamo fare un salto nella stagione 1941/42. Il nostro “panchinaro” di lusso è un certo Sergio Andreoli. Il giovanotto, gioca nel Perugia che vivacchia nelle serie minori. La squadra dei grifoni affronta nel corso del 1941 la Mater che vede, attento osservatore, Fulvio Bernardini. Fuffo ha da poco appeso le scarpe al chiodo e ricopre, tra l’altro, il ruolo di consigliere dell’AS Roma. Il consiglio, è semplicissimo: «Prendete Andreoli, è un terzino che farà strada». La segnalazione viene girata al tecnico della Roma Schaffer, anche perché in cassa ci sono pochi soldini e sul mercato bisogna operare con tanta fantasia. Schaffer si reca a Perugia per osservare Andreoli. Il ragazzo ha mezzi, ma gli sembra assai acerbo.
D’altro canto, però, il giovane terzino potrebbe venire a Roma e maturare senza fretta visto che sulla sua fascia sarebbe solo la terza scelta. Davanti a lui c’è infatti il titolare Mario Acerbi e la riserva, di antica militanza nel Club, Luigi Nobile. Fino a dicembre, in effetti, ad Andreoli vengono lasciate solo un pugno di amichevoli (Savoia di Torre Annunziata, Napoli, Fiorentina, Vigili del Fuoco, Ala Littoria), poi alla nona giornata di campionato, domenica 21 dicembre, contro la Triestina, in un’azione di gioco, Pasinati, della Triestina, fa saltare il ginocchio di Mario Acerbi. Il guaio è grosso, Acerbi ha finito la sua stagione. Schaffer nell’importantissima gara contro il Torino getta nella mischia Luigi Nobile. Nobile se la cava bene e la Roma chiude il match con la porta di Masetti inviolata. Il giovane sostituto di Acerbi, però, è uno studente universitario di medicina, richiamato, visto il periodo di guerra, ad assumere impegni professionali nel comparto ospedaliero capitolino. Deve scegliere: curare i soldati che tornano feriti dal fronte o proseguire la carriera professionistica. I due impegni sono inconciliabili. Nobile sceglie la professione di medico, anche se ancora per un anno continuerà a orbitare nell’ambito della rosa giallorossa. E’ a questo punto che la maglia da titolare viene consegnata a Sergio Andreoli che diventa una pedina fondamentale dello schieramento romanista per otto anni. Il contributo di Andreoli (20 presenze per lui alla fine del torneo) allo scudetto sarà indubbiamente considerevole.
Passiamo al torneo 1982/83, qui il confine tra titolari e riserve si è già trasformato, Odoacre Chierico, rientra però nella seconda categoria avendo davanti un signore che viene da Nettuno e si chiama Bruno Conti. Dopo aver abbandonato da bambino il settore giovanile della Roma vinto dalla saudade (Dodo voleva continuare a giocare con la sua comitiva di amici), in seguito, ripartendo dalla STEFER aveva girovagato nel mondo del calcio professionistico. Liedholm si era accorto di lui in occasione di una gara di Coppa delle Coppe tra Beveren e Inter del 21 marzo 1979. Chierico giocava con i nerazzurri e Bersellini, all’87’, lo aveva spedito in campo per rilevare Oriali. “Dodo” era però entrato con uno degli scarpini slacciati e l’arbitro Dayna lo aveva fatto uscire. Il buffo episodio e il colore rosso dei capelli, avevano attirato l’attenzione del Barone che da quel momento aveva continuato a seguire l’evoluzione di quel talento anche dopo il trasferimento al Pisa. Nell’anno dello scudetto lo svedese ricorrerà a questo fantastico Jolly in sedici occasioni.
Il fiore all’occhiello? Potremmo dire il gol al Napoli che contribuì, il 10 ottobre 1982, ad espugnare il San Paolo dopo undici anni, ma non vogliamo scordare, l’8 maggio 1983, la sua presenza in campo, da titolare, con il Genoa, nella gara che rese matematica la conquista del titolo. Siamo infine giunti al torneo 2000/01, è ovvio citare il contributo gigantesco di Nakata in quel torneo (come non parlare della rete alla Juventus e del tiro che innescherà il pareggio di Montella?), ma se proprio vogliamo riferirci ad un’assenza che ricordi (solo per numero di settimane s’intende), quella di capitan Totti, dobbiamo ricordare Cristiano Lupatelli. Dopo un onesto svernamento in panchina durato un anno e qualche mese, il 26 novembre finalmente, data l’indisponibilità di Antonioli, Capello lo mette alla prova. Inizia un ciclo che lo vede uscire imbattuto contro Fiorentina, Perugia, Lazio, Juventus, Atalanta mentre nelle rimanenti tre gare (Udinese, Bari e Milan) subisce 5 gol. Un bilancio certamente positivo che lo vede contribuire al sogno scudetto del 2001. Il resto lo lasciamo alla vostra fantasia.