(S. Pieretti) In principio fu «Arbitro cornuto». E il povero malcapitato non riusciva proprio a capire come lo potessero sapere in sessantamila. Si fece un paio di domande su vizi e virtù della propria consorte, e continuò ad arbitrare.
Il coro allo stadio è ironico, violento, fantasioso, volgare, maleducato, ribelle, polemico, quasi sempre spontaneo. Cos’è che spinge cento, mille, diecimila persone a bersagliare la stessa persona? Qual è il meccanismo che induce a mettere a repentaglio le proprie corde vocali per manifestare contro qualcuno o qualcosa? Quasi sempre il bersaglio principale è l’avversario, giocatore o tifoso fa lo stesso; ma anche i dirigenti sportivi, i presidenti e allenatori non sono immuni dall’attacco che arriva dalle gradinate di uno stadio.
L’Italia è il Paese dei mille campanili, una divisione perenne che lascia l’imprinting sui cori delle curve. Roma contro Milano, Milano contro Napoli, Napoli contro Torino, Torino contro Firenze. Ogni contrada diventa fortezza, ogni provincia si sente Impero. L’un contro l’altro armato, per difendere quei colori sociali spesso deturpati dalla legge del merchandising.
Ora, lasciando stare il figlio di Galliani, la mamma di De Rossi, e la moglie di Lotito, cercheremo di fare un viaggio lungo lo stivale per dimostrare che – in fondo in fondo – da Nord a Sud, da Est a Ovest la«discriminalizzazione territoriale» appartiene a tutta Italia. Focalizzarsi solo su Napoli rischia di produrre un razzismo al contrario. Perché si possono insultare i romani e i milanesi e non si può fare altrettanto coi napoletanti?
Iniziamo da Torino, sponda bianconera. Torino sabauda prima capitale d’Italia. «Che bello è, quando compio violenze, da Milano a Roma fino a Firenze, è una libidine, lo faccio per passione, picchiare un fiorentino, picchiarlo col bastone. Ciao mamma guarda come te lo concio». E così andare, per la gioia di Jovanotti che con le sue canzoni predica pace e fratellanza. Siamo partiti dai tifosi campioni d’Italia, ma scendendo più a Sud, e scendendo di categoria, la situazione non cambia.«Il sogno di un reggino, è alzarsi la mattina, aprire la finestra, e non vedere più Messina». Sembra quasi un complimento, rispetto al coro «C’avete solo la nebbia» che solitamente avversa le tifoserie milanesi. Romano bastardo è un grande classico che accoglie i tifosi di Lazio e Roma: sulla città Eterna c’è ben poco da dire.
E nel Nord-est la situazione non è molto differente coi tifosi del Padova pronti a bersagliare i rivali vicentini: «O vicentino, o maledetto, ti sei mangiato il mio micetto. Era siamese, e un po’ persiano, e io ti ci mando in padovano: Vicenza, Vicenza» e quel che ne segue. Ma le rivalità sono centinaia, migliaia, al punto quasi da doverle citare tutte per non scontentare nessuno. Catanzaro contro Cosenza, Pisa contro Livorno, Ascoli contro Ancona, Pescara contro Chieti, Catania contro Palermo, Varese contro Pro Patria, Brescia contro Bergamo, Salerno contro Avellino. Al di là del gemellaggio coi tifosi del Genoa, la tifoseria partenopea è tra le più bersagliate: l’invocazione del colera, e del Vesuvio, è il cavallo di battaglia più in voga. I veronesi attendono da anni il ritorno in serie A per confrontarsi con i napoletani: «Voi avete il sole, voi avete il mare ma vi manca il sapone. Meglio senza sole, meglio senza mare che Meridonale». Anni fa, con compostezza assoluta, i tifosi del Napoli si presentarono al Bentegodi con un unico striscione: «Giulietta si ‘na zoccola» di Shakespeariana memoria. Quando c’è la cultura, c’è tutto.