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LA REPUBBLICA Garcia, un muro all’olandese

Rudi Garcia

(E. Sisti) – Nel mirino ci sono il Tottenham di Bill Nicholson del 1960-61 e il Manchester United di Ron Atkinson del 1985-86: in quella stagione gli Spurs arrivarono a 11 vittorie consecutive iniziali in First Division, si fermarono davanti al Manchester City (1-1) ma vinsero campionato e Fa Cup. L’ultimo United prima dell’avvento di Sir Alex Ferguson interruppe la sua striscia pareggiando con il Luton Town all’11ª giornata: campione fu il Liverpool, Atkinson si dovette contentare del 4° posto. A mezzo secolo e/o a novanta minuti dagli exploit delle due inglesi c’è la Roma che aspetta il Chievo per capire se intanto può raggiungere il numero dieci pur dovendo fare a meno del suo numero dieci (Totti è infortunato, ha iniziato a curarsi con i fattori di crescita per accelerare la riparazione del flessore destro, potrebbe tornare dopo la sosta ma forse è una previsione ottimistica): «Una partita alla volta» è il mantra del Siddharta delle panchine, mental coach e abile lettore di partite in corsa, un mantra che strazia gli altri, i quali si attaccano ai pali colpiti, Guarin, Insigne, Muriel, temendo di doversi contentare, che provano a togliere qualche mattone dal “muro”, che fuggono in contropiede e magari un paio di volte riescono pure a superare De Sanctis: ma solo per accorgersi che alla fine c’è sempre un gattaccio malefico che con una zampata devia il pallone e buca le loro fantasie. Buona sorte? Indispensabile.

Sentite Cruyff all’apice della carriera: «Se non potete contare un palo a favore potere anche scordarvi di vincere qualcosa ». Vinceva a raffica eppure consigliava di mantenere alta l’attenzione sulla casualità, «nostra maestra di vita». E Liedholm allora? «Palo è tiro sbagliato». Caos e tattica, fatalità e talento, ostensione dei pali benedetti, magie e semplicità (il modello è Strootman). Per superare quota 27 punti la Roma di Zeman dovette aspettare la 16ª giornata, quella di Luis Enrique gennaio dell’anno successivo. Sono precedenti illuminanti. Il mantra di Garcia diventa il “muro” che consente alla Roma di esprimere la miglior difesa del momento e di ridicolizzare i suoi predecessori. Una sola rete subita, Biabiany, In 810 minuti più recuperi. Seguono il Southampton e l’Olympiacos con 3 e, guarda un po’ la combinazione, il Lille con 4. Lontane le altre. Come Djokovic la Roma sa trasformare un colpo difensivo in un attacco devastante.

Tutto è difesa, tutto in un attimo diventa attacco. Il segreto sta lì, protezione estrema e ripartenza estrema: sport estremo quando gli altri, il più delle volte, sono stremati e se non lo sono ancora, di fronte alla Roma, prima o poi ci si sentono perché, è ufficiale, la Roma non si offende se le metti paura. È successo anche domenica: Bradley riparte dalla propria trequarti, la squadra in dieci si apre come un fiore. Dal buio alla luce con tre passaggi. Segna chi ha iniziato l’azione. Ovviamente c’è qualcosa di antico nella modernità di Garcia. Capello si è sempre difeso, ma non per timore. Da quando è nato, Guardiola sogna una squadra con sette centrocampisti (nel Bayern ha spostato Lahm davanti alla difesa).

Forse Garcia, con Ljajic centravanti, la metterà in campo contro il Chievo giovedì sera. La difesa è il punto di partenza di tutte le grandi. La Juventus di Conte nel 2012 era impenetrabile (20 reti in 38 partite). Rocco, Herrera, Mourinho, lo stesso Sacchi: quante volte gli avversari davano fastidio a Tassotti, Galli, Baresi e Maldini? In 30 partite il Cagliari campione di Scopigno subì 11 gol, Cera come Riva. Il primo merito di chi sorprende è la cura di sé: lo fu anche del Perugia di Castagner. Nessuno lo direbbe, ma anche l’arrembante Ajax del calcio totale era un bunker: nel ‘72 vinse il campionato (a 18 squadre) segnando 104 gol e subendone appena 20. Come la Roma, non si concedeva nemmeno per scherzo.

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