(F.Perugini) – «Quer pasticciaccio brutto de via Allegri». La polemica sulle norme anti razzismo si è già trasformata in un romanzo degno di Carlo Emilio Gadda. E mentre la Lega A attacca il Palazzo, la Federcalcio traballa«È utile, opportuna e doverosa una riflessione», ammette con il consueto tempismo Giancarlo Abete, «ma la norma italiana ricalca una normativa proposta dalla Uefa». Una mezza verità dietro la quale si celano le responsabilità della Figc, nel caos che ha portato alla chiusura del Meazza per Milan-Udinese.
Tutta colpa di un semplice errore di “distrazione” nella ricezione delCodice di disciplina Uefa emanato a maggio. L’articolo 14 punisce infatti i comportamenti discriminatori per «colore della pelle, razza, religione, origine etnica (come nel caso della squalifica della curva biancoceleste dopo Lazio-Legia, ndr)». Durissime le pene ad applicazione progressiva: chiusura di un settore, dell’intero stadio, partita persa, penalizzazioni e persino divieto di fare mercato. Il 4 giugno, però, la nuova norma arriva in Figc ed entra nell’articolo 11 del Codice di giustizia sportiva. Per pigrizia o comodità, però, il processo avviene a metà: cambiano le pene – prima c’erano solo delle multe da 20mila euro soggette alle attenuanti (dalla collaborazione alla dissociazione del resto dello stadio) – non i “reati“. Le penalizzazioni pesanti vengono così applicate a ogni condotta lesiva«per motivi di razza, colore, religione, lingua, sesso, nazionalità, origine territoriale o etnica, ovvero propaganda ideologica vietata dalla legge», secondo il vecchio testo.
Il razzismo finisce così nel calderone dell’inciviltà da stadio, come l’apologia di fascismo o – per assurdo – il maschilismo («motivi di sesso»). Eil destino dei club finisce così nelle mani dei collaboratori della Procura federale: da due a quattro persone appostate sotto le curve per segnalare ogni coro. Anche quelli magari non avvertiti in tribuna o alla tv.«Con questa nonna le squadre diventano ostaggio degli ultras», attaccaClaudio Lotito, presidente della Lazio ma anche consigliere Figc, «quel che dice Platini non è il Vangelo».
«La discriminazione territoriale è presente da tantissimo tempo», ricorda Abete, «è cambiata la gradualità delle norme». Ed è proprio qui il secondo scivolone di via Allegri: il 15 agosto, infatti, in un eccesso di zelo vengono eliminate le attenuanti grazie alla modifica di un altro articolo (il 13). Addio discrezionalità: ogni coro si trasforma in una condanna automatica. Con alcuni paradossi. «Sardo di m…» può diventare un’offesa, ma lo storico e crudele «vi ruberemo il gregge» teoricamente no. Offendere i partenopei non si può, tranne se ci si limita al «noi non siamo napoletani». Così come cantare l’inno d’Italia durante il minuto di silenzio per i morti di Lampedusa allo Juventus Stadium non è un comportamento punibile: «Non si può sanzionare chi canta “Fratelli d’Italia”», fanno capire dalla Federazione. Così come nel Paese dei Comuni è impossibile tracciare il confine tra campanilismo becero e «discriminazione territoriale». Immaginate lo scandalo e i provvedimenti dopo uno di quei derby storici tra Udinese e Triestina con gli ululati reciproci «infoibati» e «terremotati». Al solito pasticcio istituzionale, prova a rispondere Giovanni Malagò scaricando le responsabilità sul tifo pulito. Quello più penalizzato: «L’unica soluzione è che il settore dello stadio interessato faccia qualcosa nei confronti di chi penalizza la propria squadra», dice il presidente del Coni. Ma se lo stadio è vuoto come si fa?