Siamo il paese delle deroghe, del salvacondotto, del momentaneo e provvisorio che, parafrasando Flaiano, finiscono per essere le uniche dimensioni in grado di tendere al definitivo.
Data la premessa, quale meraviglia per il fatto che Cesare Prandelli non applicherà il codice etico – cosiddetto – nei confronti di Mario Balotelli? E ancora più in profondità: quale meraviglia per il fatto che era già pronto l’artificio dialettico del CT per motivare l’inutilità dell’applicazione del suddetto codice?
L’Italia, non solo certo quella calcistica, sta subendo un processo di (ri)democristianizzazione che in questi giorni ha toccato il suo apice inciucista, intrallazzatore, grossolanamente diplomatico ed equilibrista per necessità; chi si sorprende, allora, se i due pesi e le due misure vigono a livello decisionale anche in seno alla Nazionale di calcio, che più di una volta ha rappresentato, con le sue logiche di spartizione, il peggio della nazione?
Balotelli finirà di scontare la squalifica prima della convocazione e tanto basta a Prandelli per passar sopra agli atteggiamenti, alla ricaduta sistematica nell’immaturità, alla intollerabile perdita di staffe e a tutto quel malinconico campionario che a un Osvaldo o a un Di Natale sarebbero costati la convocazione.
Se ai dirigenti federali e al tecnico sta bene così, i tifosi dell’Italia decideranno secondo coscienza; quello che è certo è che tutte le parti in causa, la prossima volta che si verificheranno imbarazzi – ma saranno poi tali?- del genere, non potranno parlare di pessimo esempio da non dare ai bambini. Non potranno permetterselo, oggi meno di prima.
Paolo Marcacci