Forse stavolta ha meno torto lui rispetto a chi pretende di celebrarlo sempre e comunque, anche quando non è proprio il caso e si rischia di valicare il confine dell’imbarazzo.
Di chi stiamo parlando? Di Mario Balotelli, ovviamente, quello che, ipse dixit, segna mentre gli altri parlano male di lui.
Il problema non è tanto il parlarne male, visto che ne fornisce quasi quotidianamente occasione – show aeroportuali compresi, andata e ritorno -, quanto il parlarne a sproposito: la puntata partenopea della nazionale di Cesare Prandelli conquista il risalto delle cronache non per il faticoso e un po’ fortunoso pareggio contro una sorprendente Armenia e neppure per il goal di pregevole fattura con cui proprio Balotelli ha salvato mezza faccia azzurra. No, della fine delle qualificazioni mondiali in quel di Napoli ci si ricorderà soprattutto per quanto scritto, titolato, tentato di far passare per autentico prima che la banda intonasse gli inni.
Pretendere di far passare Balotelli per un simbolo anti-camorra, solo per un discusso e in parte misterioso – imbarazzante anche? – sopralluogo di qualche mese fa ha una sua grandezza comica di stampo chapliniano: è l’assurdo calato nella prosa giornalistica, è pretendere di aver incontrato un Godot che si sa in partenza non arrivare mai.
Il primo a smentire questa forzatissima investitura non richiesta? Il giocatore stesso, con un maldestro ma sincero tweet in cui rivela la sua essenza, un po’ di ingenuità e certamente un disimpegno superiore persino alla media già altissima del calciatore nostrano.
Sotto i riflettori ci si colloca benissimo e malissimo da solo, a seconda che indossi o meno gli scarpini: non gli occorrono né le indulgenze plenarie ad personam di Padre Prandelli né le santificazioni cialtronesche di una stampa che pretende di ridisegnarlo diverso da come è sempre stato.
Fino alla prossima che combinerà, dopo che qualcuno, nel frattempo, si sarà sbilanciato a dire che è maturato.