Pressappochismo, qualunquismo, ipocrisia: miscelati a piacere, in proporzioni più o meno simili. Sono gli ingredienti dei due grandi (grandi?) dibattiti che il nostro calcio anima in questi giorni: il preteso – non da lui – ritorno di Totti in nazionale e la chiusura degli stadi per discriminazioni razziali o territoriali.
Denominatori comuni di un’italica, oltre che atavica, mancanza di buon senso e di memoria storica, oltre che di pudore. Chi in questi anni ha lasciato gli stadi abbandonati a loro stessi, magari lucrando il più possibile sui loro ricavi ma senza mai fare nulla per renderli più comodi, economici, frequentabili, assomiglia in modo preoccupante a quelli che oggi si producono nelle lodi sperticate di Francesco Totti: gli stessi che qualche anno fa ne preconizzarono il ritiro, che non gli hanno mai perdonato nulla, che ne hanno sempre mal digerito la personalità, la provenienza, la rappresentatività in termini geografici. Ecco: non c’è miglior esempio di “discriminazione territoriale” di quello che Totti per anni ha sopportato da certa critica. Quella stessa critica a cui oggi viene naturale – oltre che strumentale – salire sul carro di un vincitore che ha l’unico difetto di essere troppo buono per scalciarli via, come dovrebbe fare, facendoli ruzzolare nel fango della loro ipocrisia.
Lo stesso trattamento meriterebbe oggi tutta una pletora di dirigenti che sul calcio e sulla passione che muove hanno sempre e solo lucrato, considerando tifosi e appassionati alla stregua di mentecatti da spremere come limoni in termini economici e facili da raggirare come bimbi dell’asilo. I tifosi, di tutte le squadre, per il troppo amore hanno quasi sempre consentito che questo accadesse.
Il fatto nuovo è, in questi giorni, che a un’intera classe dirigente – in termini di vertici calcistici – si sta ritorcendo contro il frutto della propria incapacità e del proprio doppiogiochismo: chi ha strumentalizzato gli ultras e le curve per il proprio tornaconto dirigenziale, non può prenderne le distanze nel momento in cui, trasversalmente, si leva la loro protesta contro provvedimenti applicati in maniera superficiale, quindi inevitabilmente iniqua e non risolutiva.
Non si può, a giorni alterni, decantare i meriti di Totti perché il tema è di moda e ci si è dovuti arrendere alla meravigliosa evidenza del suo calcio e del suo modo di essere. Allo stesso modo, non ci si può svegliare di colpo, con la scusa – valida fino a un certo punto – delle normative UEFA e scoprire dopo vent’anni che i napoletani sono discriminati dai cori di tutta Italia o che il romano è “bastardo” da Trieste a Canicattì e via citando milanesi da appendere, vulcani che devono fungere da lavacri purificatori e tutto il campionario che conosciamo.
Se vogliamo fare un discorso serio, di bonifica culturale del nostro calcio – ma il discorso vale per il paese in generale – allora partiamo dall’azzeramento di intere classi dirigenti miopi, inadeguate e ogni tanto conniventi per convenienze varie. Non prendiamocela sempre coi ceti popolari, che hanno la sola colpa di esternare il malessere in forma più diretta ed eclatante.
Altrimenti abbiate il coraggio di spiegare ai bambini, non solo romanisti, che Totti possono goderselo solo in televisione, perché anche se papà volesse accompagnarli allo stadio troverebbe il giudice sportivo sulla soglia di casa.
Paolo Marcacci