(G. Piacentini) Stesso ruolo, stesso carattere da leader, ma un modo diverso di vivere il primato della Roma. Uno, Medhi Benatia, è arrivato la scorsa estate dall’Udinese per prendere il posto dell’altro, Nico Burdisso, che è alla quinta stagione in giallorosso. «La Juve- le parole a Sky del franco marocchino – è da tre anni la squadra più forte in Italia. Hanno un gruppo di qualità, una rosa completa e fanno bene anche in Champions: noi non siamo favoriti per lo scudetto, dobbiamo tornare in Europa. Se poi potremo fare di più, lo faremo». Burdisso ne ha viste molte nella Capitale. Ha sfiorato un paio di scudetti e ora respira un’aria nuova. «Juventus e Napoli – la sua replica a Roma Channel – non sono più attrezzate di noi, questo è un pensiero che adesso va di moda ma noi siamo forti, abbiamo avuto un periodo sfortunato, con tanti attaccanti fuori che ora rientreranno, a partire da Destro». Un periodo che coincide con le ultime due partite in cui, dopo dieci giornate vissute da spettatore, in campo c’era proprio l’argentino: «Col Sassuolo dispiace aver preso gol all’ultimo, perché si era vista una squadra solida e io ho dimostrato di essere pronto. Col Torino è stata tosta, abbiamo provato a gestire la partita e poi è successo quello che è successo. Il fallo di Meggiorini? Secondo me c’era, ma non l’ha fischiato e non voglio parlare di arbitri». Benatia gli fa il coro: «Ci mancano 4 punti, ci sono stati episodi che ci li hanno fatti perdere ma non voglio tornare su quegli errori. Questi due pareggi hanno fatto male alla nostra testa: eravamo tristi e arrabbiati come se avessimo perso. Spero che la tifoseria ci segua, perché abbiamo bisogno di loro e non abbiamo paura di nessuno».
La differenza col passato sembra soprattutto nella testa. «Ora – riprende Burdisso – la squadra si sente forte, i singoli si sentono sicuri e questa mentalità la dobbiamo portare fino alla fine. L’obiettivo è più vicino, non è utopia, e il primato in classifica è una gioia per tutti. Garcia ha scommesso sul gruppo e i risultati si sono visti: in tanti momenti ha dovuto motivare chi giocava male. Io leader? Cerco di parlare di cose concrete, il “colore” lo lascio agli altri. Il mister sa che, se serve un consiglio, sono a disposizione. Sono sempre dalla parte dell’allenatore. Mi piace parlare con i compagni che non giocano, quelli arrabbiati: quando un calciatore non gioca non si sente più protagonista, invece è proprio in quel momento che bisogna dare di più. Ci si sente importanti a prescindere da una partita giocata o meno. Dopo l’infortunio sono cambiato: prima preparavo le gare come fossero battaglie, ora non più. Ma non sono preparato per non giocare, voglio farlo nella Roma e in nazionale». Parola di leader.