(G. Dotto) Ripartire da qui. Dai giocatori e dai tifosi del Toro che esultano, da Ventura che quasi infarta, come fosse una vittoria, dopo aver difeso con unghie, denti, glutei e capezzoli l’1 a 1. Ripartire dalla rabbia di De Rossi e compagni, mica per i record eventualmente mancati, ma perché vivono il pareggio come una mezza sconfitta e perché Juventus e Napoli si avvicinano. E comunque, la partita, hanno cercato di vincerla fino all’ultimo secondo e il gol di Cerci era irregolare marcio e il rigore su Pjanic poteva non fischiarlo solo un pusillanime o uno offuscato da una damigiana di Verdicchio. Come il fallo da dietro su Maicon, quanto meno una punizione letale da buttare nel mucchio. E non prendersela nemmeno poi più di tanto con Banti. Tutto questo vuol dire essere diventati grandi. Ma grandi davvero.
Questa è una squadra di acciaio e di velluto e oggi lo sa più di ieri. Per cui, più convinzione e nessuna frustrazione da questo viaggio a Torino. Meglio così, si riparte liberi di testa domenica con il Sassuolo. Liberi anche noi. Alla malora i record. Garcia e la sua banda ci avevano trasformato negli ultimi tre mesi in una massa di maniaci armati di pallottoliere che stavano lì insonni a compulsare numeri su numeri.
La serie doveva spezzarsi prima o poi. Le premesse, stavolta, c’erano tutte. La borsa era troppo piena. Dieci vittorie, trenta punti, un gol subito in dieci ore di calcio, tutto da perdere, il mondo addosso, fintamente complimentoso. Tutti assatanati nell’agguato alla Roma. Chi sarebbe stato il tagliagole di turno? Guardatelo bene, l’ex Cerci, la sua faccia da strega. Non poteva che essere lui. Banti è stato solo il mediocre guardiano di una storia già scritta. Ai Totti e ai Gervinho, stavolta si aggiungeva l’assenza di Castan, che sarebbe come dimezzare il colosso di Rodi. Benatia e Castan sono inseparabili. Su quella palla di Meggiorini, lo so, il paulista si sarebbe scaraventato a corpo morto.
Dovendo proprio cavillare, forse, dopo l’ 1 a 0 di Strootman, l’uomo lupo, la Roma si è forse troppo fidata del suo alone d’invulnerabilità, limitandosi troppo alla gestione e al controllo, dimenticando quanto il calcio sia sport orrendamente iniquo, terra più di banti che di santi. E ammirando quel Ljaijc finale, il dubbio è che la staffetta con Borriello dovesse essere, casomai, capovolta. Detto questo e preso atto delle lucidissime, energiche parole di Rudi Garcia a fine partita, la conferma è definitiva: questa squadra è in buonissime mani.