(M. Evangelisti) – Perduti in una strana Terra di Mezzo, i giallorossi cercano la strada del ritorno a casa. Non dovrebbe essere particolarmente difficile trovarla. Non dopo aver vinto dieci partite su undici: è impensabile sia sufficiente un pareggio per ingabbiare il tempo e riportarlo indietro a quand’era cupo. Infatti alla Roma non sono affatto cupi. Sono però lievemente confusi, a mezza strada tra una partita che si poteva anche pareggiare e infatti si è pareggiata, un’altra che è obbligatorio vincere senza averne alcuna garanzia. Il Sassuolo è squadra vivace e divertente, ha fatto pari e patta a Napoli, davanti danza come uno sciame di api. Per la Roma resta il fatto di avere come avversaria una principiante assoluta della Seria A proprio nel giorno in cui le inseguitrici Juventus e Napoli si aggrapperanno l’una alla maglia dell’altra e inevitabilmente si rallenteranno a vicenda.
CORRIERE DELLO SPORT Un patto per lo scudetto
IL GIUSTO – Rudi Garcia e i suoi, più i suoi che Rudi Garcia, sono anche a mezza strada tra l’entusiasmo e l’autocommiserazione, col viso incerto tra il sorriso e il pianto. Umano che accada dopo un avvio che per velocità ha sconcertato chiunque, persino gli stessi giocatori della Roma. Domenica notte un gruppo di tifosi è andato ad accogliere la squadra di ritorno da Torino. Voleva essere una piccola festa, è diventata un’assorta processione di anime in pena. I giallorossi pretendevano di vincere e ci sono andati vicino, arrivando diciamo a undici metri dal record europeo di successi consecutivi a inizio stagione. Li ha inchiodati l’abitro Banti negando un rigore su Pjanic. Da una parte i romanisti sono consci di aver portato via dalla partita con i granata il giusto, tenendo conto solo del gioco espresso dalle due squadre. Dall’altra si rendono pure conto di quale dimostrazione di forza sarebbe stata imporsi alla fine di una partita sudata. In quella lunga serata di rabbia e rimpianti è nato un nuovo corso della Roma di Garcia. Che è uguale al vecchio e conta di ripeterne i risultati. (…)
LE LEGGI – Adesso che Garcia è chiamato a scegliere, per via degli infortuni e perché non vale più il principio di mantenere intatta una formazione che non sbagliava mai, la prima legge che i giocatori si sono dati è di seguire senza discutere un allenatore stimato, capace sino a questo momento di far sentire importanti tutti i giocatori indistintamente. Adem Ljajic può non essere soddisfatto dei modi e delle misure del suo impiego, ma oltre qualche sguardo conficcato nel vuoto non va. Prima regola, l’allenatore sceglie bene anche quando sbaglia. E se a sbagliare sono gli arbitri si osservi analogo silenzio. A protestare pensi la società, se occorre. I giocatori non intendono concedere a se stessi l’alibi di sentirsi perseguitati. Al massimo è permesso a fine partita segnalare un certo episodio, con toni civili, tanto per far vedere al mondo che nessuno è fesso. Seconda regola, quel che ci guadagniamo sul campo è oro puro.