(A.Spalla) In una giornata che, come tante altre, dovrebbe essere contraddistinta da gesti lenti e familiari, Frascati si sveglia diversa e apprende malinconicamente della scomparsa di Amedeo Amadei, «padre» di un intero paese.
Per i tifosi romanisti, oltre a essere un campione indimenticabile, era «Il Fornaretto» o «L’ottavo Re di Roma». Il primo soprannome lo aveva ricevuto perché figlio di una famiglia di panettieri; il secondo se l’era guadagnato in giallorosso. A Frascati, invece, era semplicemente Amadei. Un cognome diffuso ma inconfondibile.
GENEROSITA’ Nella sua casa di Grottaferrata, dove si è spento nella notte fra sabato e domenica, la famiglia riceve con discrezione le condoglianze. «Solo oggi — confessa commossa la figlia Maria Grazia — ci siamo resi conto di quanto bene avesse fatto nostro padre. In tanti sono passati per ringraziarci di gesti di cui non eravamo nemmeno a conoscenza. Era così: aiutava senza chiedere e ostentare». Lo conferma un conoscente che davanti alla salma si sente in obbligo di omaggiare un uomo che l’ha aiutato materialmente. «Vi ringrazio — dice rivolgendosi ai parenti — perché nella mia famiglia eravamo in dieci. Erano tempi difficili, ma vostro padre trovava sempre il modo di regalarci un chilo di pane, qualcosa da mangiare». «Un uomo» apparentemente «burbero», come ricorda la figlia, «ma molto generoso. Si nascondeva dietro una corazza. Era molto religioso».
DALLE MACERIE Un dolore che tocca anche Palazzo Marconi, la sede del Comune di Frascati, dove martedì si terrà la camera ardente dalle 10 alle 13, alle 15 i funerali nella Cattedrale di San Pietro. «Lo conoscevo fin da quando ero piccolo — ricorda il sindaco Di Tommaso — e sono particolarmente scosso. Non se ne va soltanto un’icona di un calcio antico e romantico, ma anche un “pezzo” di quella Frascati che seppe risollevarsi dalle macerie della seconda guerra mondiale». Amadei ricostruì, con pazienza e umiltà, ciò che aveva amato. Il vecchio forno di Piazza del Gesù, distrutto dai bombardamenti, è oggi «Il Fornaretto» di Piazza del Mercato, gestito dal figlio Giampiero. Il 5 novembre 2007 il «Campo Mamilio» diventa lo «Stadio Amedeo Amadei». E lui subito ironizza: «Ma perché me l’hanno già intitolato? Non sono mica morto!».
QUELL’ABBRACCIO Poi nel 2011 un’operazione complessa per la sua età: Amadei stenta a riprendersi, si accende solo quando vede i nipotini. Scherza, li chiama «imbroglioni» mentre giocano a carte. «Vorrei ricordarlo — racconta la figlia — come un esempio di onestà. La Roma mi ha invitato alla commemorazione all’Olimpico col Cagliari, ma non sono sicura di riuscire a reggere l’emozione. Forse — s’interroga fra le lacrime — dovrei andare, lo devo a papà». Nel silenzio di casa Amadei, tre oggetti del salone catturano l’attenzione: la foto di gruppo dello Scudetto del 1941-42; la maglietta «Hall of fame» e un’immagine di un derby in cui giocatori romanisti e laziali s’abbracciano con Amadei al centro. «Erano — spiega il genero — i suoi ricordi preferiti». Un abbraccio condiviso con l’avversario, un chilo di pane regalato in tempi di miseria. Ecco chi era Amedeo Amadei.