(G. Teotino) Venghino, signori, venghino. Benvenuti nel pianeta calcio, lo spettacolo più bello del mondo. Almeno lo era e lo sarà. Specie se arrivano i nostri. Anzi, i loro. I loro soldi. I soldi degli investitori stranieri. Investitori e non mecenati. Seri businessmen che vogliono mettere le mani sul circo del pallone non soltanto per divertirsi, ma perché sentono profumo di guadagno. Da Pallotta a Thohir. Ora, sembra, Chen Feng. Usa. Indonesia. Cina. Per non parlare di russi e arabi che hanno già messo il naso alla porta, salvo poi ritrarsi non appena capivano che alla festa si erano presentati in anticipo. Adesso forse l’ora giusta è arrivata. Sembra quasi che siamo diventati, a nostra insaputa, la nuova frontiera del football che sarà. E noi che pensavamo di essere i più brutti d’Europa o quasi, con i nostri stadi cadenti e malfamati, i nostri tifosi maleducati e prepotenti, i nostri bilanci miserevoli…
Forse non è così. O forse, paradossalmente, è proprio questa la nostra ricchezza: siamo caduti così in basso che per i volenterosi è più facile risalire. Come spesso capita, è una realtà a due facce. Da una parte il valore del brand e lo stato economicopatrimoniale dei nostri club sono così deprezzati da rendere conveniente la loro acquisizione. Dall’altra il calcio italiano, per tradizione, per le passioni che muove, mantiene un appeal straordinario, tale da consentire ritorni importanti a chi sarà in grado di rimetterlo in moto. Siamo talmente indietro, non soltanto per quanto riguarda gli stadi, ma anche, e soprattutto, per quanto riguarda attività commerciali, marketing e rapporti con la tifoseria sana, che i margini di sviluppo diventano attraenti. Fra l’altro, i numeri dicono che gli investitori internazionali sono più dinamici in tutti i Paesi. Nelle cinque maggiori Leghe europee le società con proprietà extracomunitaria sono il 12,5% del totale, ma producono più del 20% del fatturato generale.
In Inghilterra il mercato è saturo: in Premier League sono in mano straniera 10 società su 20, fra le quali le cinque maggiori (Manchester United, Arsenal, Chelsea, Liverpool, Manchester City). La Germania è offlimits: per legge almeno il 50%+1 del capitale sociale e dei diritti di voto deve rimanere all’associazione sportiva di riferimento del club. La Spagna è inaccessibile per quanto riguarda i colossi Real Madrid e Barcellona, inappetibile per il resto, con uno stato debitorio peggiore di quello italiano.Restano Francia e Italia. E il Paris St. Germain è già stato «occupato».
Ben vengano dunque capitali e uomini nuovi. Certo, anche gli uomini. Perché ci siamoaddormentati sul nostro modello dei presidenti mecenati e padroni. Nel XXI secolo in Serie A in pratica hanno cambiato proprietà solo i club falliti. C’è bisogno di aria fresca. Di un management finalmente efficiente. E magari, perché no, meno avvezzo a certe vecchie cattive abitudini.