(Gazzetta dello Sport) – «Di Livio è un talento nato. E come tutti i talenti nati a volte fa fatica a capire che deve rincorrere l’avversario quando non ha il pallone. Ma è un po’ che ha iniziato, perché è un ragazzo intelligente, oltre che di grande personalità: gli manca solo questo per diventare un giocatore davvero importante». L’investitura di Roberto Muzzi,al termine di Lazio-Roma Allievi (1-2), è il segnale che qualcosa è cambiato per il 16enne Lorenzo Di Livio, uno che arrivò alla Roma nel 2006, e da allora viene considerato un predestinato, a prescindere dalle 40 presenze in Nazionale del padre Angelo.
Da Maldini ad Ancelotti, da Bettega a Maradona, i settori giovanili hanno visto troppi figli d’arte che non hanno ereditato il talento dei genitori: il suo era un caso diverso, il suo problema era gestire le grandi aspettative che lo circondavano. Raccontano che Arrigo Sacchi, durante un raduno dell’Under 15, lo vide con le mani sui fianchi con gli avversari in possesso palla: vero o no, da due anni è fuori dal giro azzurro. Titolare da sempre, negli Allievi aveva iniziato la stagione in panchina, ma i suoi spezzoni sono andati in crescendo: ora che ha cominciato a mettere la cattiveria che a volte gli mancava è diventato un punto fermo della squadra, con la sua maglia numero 7. Destro naturale, brevilineo, domenica con la Lazio si è fatto parare un rigore: ma la facilità di corsa e dribbling con cui se lo era procurato era quella di uno che tra qualche mese sarà protagonista anche in Primavera.