(M.Iaria) Angelino Alfano scende in campo. Niente «Forza Italia» ma tanto calcio, questo sì. Per il vice premier e ministro dell’Interno una mattinata, quella di ieri, trascorsa in Lega, a tu per tu con i presidenti del massimo campionato. E una sfilza di annunci. Per uscire dalla perenne fase emergenziale in cui è avvitato il calcio italiano, alle prese con un tifo violento ma anche sempre meno reale e sempre più virtuale, il Viminale e la Lega di A varano una task force incaricata di facilitare le procedure di acquisto dei biglietti, rafforzare i poteri degli steward e studiare la segmentazione delle curve. Alfano ribadisce la «mano durissima contro i violenti», ma sa che è arrivato il momento della fase due perché i nostri stadi sono desolatamente vuoti. Ai club che attendono da anni (e l’hanno utilizzata come paravento) una legge sull’impiantistica, il ministro ha comunicato che oggi il Governo presenterà un emendamento ad hoc alla legge di stabilità. «Una rivoluzione» con tre punti-chiave: possibilità di realizzare impianti con capitali privati; sburocratizzazione delle procedure; apertura all’interno degli stadi di attività commerciali e spazi culturali.
Ministro Alfano, forse questa è proprio la volta buona per la legge sugli stadi, visto che il testo verrà blindato. Nella precedente legislatura, invece, il provvedimento si era incagliato nelle commissioni e c’era stato un duro scontro tra l’ala riformista e quella ambientalista.
«Noi non dobbiamo fare diventare la questione dell’infrastrutturazione sportiva una questione teologica. Stavolta c’è materia per essere d’accordo. Sono convinto che il testo che presenterà il Governo avrà la fiducia del Parlamento e che la legge verrà pubblicata entro Natale in Gazzetta Ufficiale».
Lei ha citato il modello Brighton, quello di una squadra inglese che era in terza serie e ha investito 100 milioni per costruirsi lo stadio.
«Quel club ha più che triplicato il numero degli spettatori per il semplice fatto che da pura partita è diventato spettacolo. Il luogo in sé è divenuto parte dello spettacolo proprio per le attrattive che ha dentro e la possibilità di fare altro durante la giornata: le famiglie vanno alla partita come a teatro. Credo che il calcio moderno abbia bisogno di questo».
All’estero diverse società, come il Barcellona, hanno reciso i legami con il tifo violento. Ritiene che i club italiani siano poco coraggiosi e che ci sia ancora una certa ambiguità nei rapporti con alcune frange della tifoseria?
«I nostri club hanno fatto grandi passi in avanti. Va a loro riconosciuto lo sforzo di una bonifica che si misura con i risultati degli ultimi 5-6 anni, dal caso Raciti in poi. Risultati che non sarebbero stati ottenuti senza la collaborazione delle società. Certo, va rivisto l’esperimento degli steward, che ha funzionato ma anche manifestato dei limiti».
La Gazzetta continua a ricevere lettere di tifosi che si lamentano per le difficoltà nell’acquisto dei biglietti e nell’accesso agli stadi. In Italia assistere dal vivo a una partita è una via crucis.
«Avendo effettuato in questi anni una sostanziale ripulitura nella presenza degli stadi, adesso occorre aprire la possibilità di uno sbigliettamento più facile, anche attraverso canali elettronici come smartphone e pc. Questi strumenti devono servire ad avere la tracciabilità dell’acquisto, cosa che garantisce la sicurezza, e per un altro verso ad assicurare maggiore facilità nell’acquisto del biglietto, e dunque maggiore facilità nell’andare allo stadio anche senza averlo programmato nei giorni precedenti. Il punto che noi dobbiamo restituire alla libertà dei tifosi è quello di decidere all’ultimo minuto di andare allo stadio».
Tessera del tifoso: la Lega le invierà un documento di proposte di modifica, diversi presidenti ritengono che vada abolita. Ma qual è la sua idea?
«Ha prodotto buoni effetti e se ci sono dei limiti vanno corretti, ma è un’idea che funziona ancora».
La sua impostazione originaria, tuttavia, è stata distorta. Era stata annunciata come una fidelity card per avvicinare di più il pubblico al calcio, è invece stata percepita come una schedatura e basta.
«In effetti abbiamo avuto due interpretazioni differenti. Una più romantica, quella della carta di fedeltà, e una sostanzialmente più securitaria, che è quella che più spesso si è sviluppata in modo pratico. Dobbiamo fare sì che si possa ritornare alla filosofia originaria in cui la tessera del tifoso era una modalità di manifestazione di tifo per la propria squadra del cuore e al tempo stesso una personale collaborazione affinché gli stadi siano più sicuri e più frequentabili».
Dopo Pallotta alla Roma, ecco Thohir all’Inter. È una conferma delle difficoltà della nostra economia?
«Roma e Inter restano brand italiani, in un’economia globale non si può rispondere con un calcio locale. È la globalizzazione, bellezza».