(A. Angeloni) – Ci stava per rimettere un polmone per la Roma: Kapfenberg 1999, scontro violento con Mangone durante un allenamento: pneumotorace, ricovero in ospedale, fine del ritiro. Inizio stagione in salita con Capellodopo gli anni di fuoco con Zeman. Un anno dopo ci ha rimesso un ginocchio, altro anno in salita, titolare a singhiozzo, con almeno la soddisfazione di aver fatto parte dell’ultima Roma campione d’Italia. Quattro anni intensi vissuti in giallorosso per Eusebio Luca Di Francesco, chiusi con 129 presenze e 16 reti. Era un Perrotta ante litteram, un uomo di corsa col senso del gol. Nella Roma ha fatto anche il team manager, poi è stato travolto dalla vocazione: allenare.
Eccolo, domenica, di nuovo contro la sua Roma, che ha già affrontato due stagioni fa quando sedeva sulla panchina del Lecce, uscendo dall’Olimpico contro gli uomini di Luis Enrique con una batosta. La serie A, al suo secondo atto col Sassuolo, ha provato a rigiocarla a viso aperto, come è il suo carattere e come dettano gli insegnamenti del suo maestro Zeman, cioè col 4-3-3, il modulo che gli ha regalato la promozione col Sassuolo. Poi invece si è improvvisamente capellizzato, si è messo a tre dietro, due ali veloci e che sanno coprire, un attaccante (Zaza o Floro Flores) e un mezzo attaccante come Berardi (una stellina vera e propria) e via. Qualche risultato è arrivato, il primo positivo proprio a Napoli, un punticino dopo sette sconfitte. Adesso ha nove punti, cinque dei quali presi in trasferta. La Roma oltre che dagli amici dovrà guardarsi dagli amici, anche quelli veri come Eusebio. «Il Toro ci ha rovinato tutto, volevamo fermare noi la Roma», dice il patron del Sassuolo, Squinzi. Capito, l’aria?