(C. Fotia) – Nato il 13 marzo 1959 Giovanni Malagò è figlio di Vincenzo Malagò, in passato vicepresidente della Roma. In gioventù ha praticato diversi sport, in particolare il calcio a 5, vincendo 3 scudetti con la Roma RCB e 4 Coppe Italia (di cui due con il Cc Aniene). Dal 1997 è presidente del Circolo Canottieri Aniene, che sotto la sua guida ha vinto titoli nazionali in diverse discipline, soprattutto nel nuoto, nel canottaggio e nel tennis. Per il Cc Aniene gareggiano o hanno gareggiato campionesse come Federica Pellegrini, Josefa Idem e Alessandra Sensini. Ai Giochi olimpici di Londra 2012 è stata la prima società non militare per numero di atleti forniti alla delegazione italiana. E’ stato membro della giunta Coni, presidente del comitato organizzatore degli Internazionali d’Italia di tennis e dei Mondiali di nuoto di Roma 2009. Ha fatto parte del comitato organizzatore degli Europei di pallavolo del 2005. E’ stato presidente della Virtus Roma basket nella stagione 2000-01, vincendo una Supercoppa italiana. Il 19 febbraio 2013 succede a Gianni Petrucci alla presidenza del Coni (con 40 voti su 35 di Raffaele Pagnozzi). «È facile vincere – ha detto dopo l’elezione – ma è più difficile mettersi nei panni di chi non vince. Da sportivo e in assoluta sincerità voglio fare un abbraccio a Lello. Farò di tutto per onorare la più importante carica del Paese, e non solo di questo Paese».
Presidente Malagò, partiamo dal caso caso della Nocerina. È malato solo lo sport, o si tratta di una malattia che investe intere zone del paese?
È proprio cosi. Ci sono zone del paese dove domina incontrastata l’illegalità e dove una delle cose più importanti è il calcio. È facile dunque che si possa identificare l’una con l’altro, ma il calcio è e deve restare una cosa bellissima e quindi questa identificazione è assolutamente inaccettabile. Prendendo spunto da questi fatti è dunque opportuno prendere tutte le misure e i provvedimenti affinché episodi simili non possano più accadere.
Il fatto che l’illegalità, come giustamente diceva lei, non nasce nel mondo del calcio non limita però le responsabilità del mondo dello sport, perché proprio in quelle zone il calcio è uno dei momenti più forti, spesso l’unico, di aggregazione sociale dei giovani. E dunque le organizzazioni criminali per ragioni di prestigio e di controllo sociale vogliono mettere le mani sulle società e controllare il tifo. Non mi pare che fino a oggi il movimento sportivo italiano sia stato consapevole delle responsabilità che ne derivano. Anche se ci sono stati gesti importanti come la visita della Nazionale italiana di calcio a Rizziconi, in Calabria, dove è stato costruito un campo di calcio sui terreni sequestrati alla ‘ndrangheta.
Bisogna agire su due livelli: quello delle leggi ordinarie e quello delle leggi sportive. In Inghilterra dove il fenomeno degli Hooligans non era meno grave sono state prese misure severissime contro coloro che dentro o fuori lo stadio compiono atti di violenza, misure penali che vanno al di là del divieto di frequentare lo stadio e arrivano a toccare persino il lavoro. Da noi misure di questo genere non esistono e spesso i soggetti sottoposti a Daspo sono liberi di agire fuori dagli stadi. In secondo luogo deve intervenire la giustizia sportiva. Là dove ci sono delle società che non prendono in modo categorico, drastico e assoluto le distanze da quelle frange delle tifoserie influenzate da certi soggetti, la giustizia sportiva deve prendere provvedimenti radicali anche a costo essere impopolare verso quei settori sani delle tifoserie che purtroppo sono le prime vittime dei violenti. Le società che sono state complici di un certo tipo di tifoseria devono essere punite in modo duro.
Come giudica il comportamento dei calciatori?
A caldo li ho definiti incoscienti e irresponsabili. Poi quando si vede che tipo di pressioni, minacce e violenza avevano subito, ci si rende conto che è complicato fare gli eroi per 1.500 euro al mese. Soprattutto quando le minacce coinvolgono i propri familiari. Detto questo, la mia opinione non cambia: tra tutte le possibili reazioni a quelle pressioni, hanno scelto la peggiore. Si sono coperti e ci hanno coperti tutti di ridicolo. Potevano chiedere al presidente di non far scendere in campo la squadra denunciando quanto accaduto. È quello che hanno provato a fare senza riuscirci, pare.
Quindi esiste una responsabilità della società?
Mi pare che così stia emergendo.
Oggi tutti cominciano a rendersi conto del fallimento della Tessera del tifoso che, come Il Romanista denuncia da sempre, è illiberale, complica alle persone per bene la frequentazione dello stadio e non serve a nulla contro la violenza. Qual è la sua opinione?
Da presidente del Coni io non posso certo criticare una legge dello stato che, assieme ad altri soggetti, sono chiamato ad applicare. Però bisogna riconoscere che la Tessera del tifoso non ha risolto i problemi. Ci sono testimonianze che attestano il contrario: non ci scordiamo che nel caso da cui siamo partiti indubbiamente c’è il comportamento violento dei delinquenti travestiti da tifosi, ma a monte di tutto c’è il fatto che era stato comunicato loro che, malgrado fossero tesserati non avrebbero potuto assistere alla partita. Ho appreso peraltro che la Nocerina è la squadra con il maggior numero di tesserati, 1.500, della Prima e Seconda Divisione. È chiaro che c’erano state denunce e minacce rimbalzate sui social network e quindi il questore e il prefetto hanno agito di conseguenza, però allora mi viene spontaneo domandarmi: e allora la Tessera del tifoso a cosa serve?
Non sarà che in Italia, invece di perseguire per le vie normali chi commette reati e illegalità, si preferisce ricorrere a misure emergenziali che colpiscono nel mucchio e sono perciò inefficaci? È quello che dicevo prima. La legge ordinaria deve funzionare. È inutile che noi progettiamo nuovi impianti dotati di tecnologie che servono a garantire il massimo della sicurezza se non mettiamo le forze dell’ordine in condizione di agire nell’immediato, dentro lo stadio stesso, come per esempio avviene in Inghilterra. Si sono creati impianti di nuova generazione dove attraverso un sistema di riprese controlli tutto quello che avviene dentro lo stadio e quindi, identificati gli autori di atti violenti, questi vengono portati in un luogo all’interno dello stadio dove vengono fermati e nell’arco
di due giorni si fa un processo per direttissima. Se le accuse sono confermate scatta la condanna per due anni, l’allontanamento dallo stadio e la perdita del posto di lavoro. Io credo che l’accoppiata stadi nuovi e misure di questo genere sia indispensabile. Purtroppo dobbiamo fare i conti con il fatto che, soprattutto in certe zone del paese, il calcio ha prodotto una sottocultura inaccettabile.
Il presidente Letta al recente Consiglio nazionale del Coni ha annunciato che la questione degli Stadi sarà affrontata con un emendamento del governo alla legge di stabilità. Lei ci crede?
Letta ha ricevuto una vera e propria standing ovation dal nostro Consiglio nazionale perché, in un discorso a braccio di cinquanta minuti, ha dimostrato una sensibilità e una preparazione del tutto nuovi rispetto ai suoi predecessori. Del resto è stato il primo presidente del Consiglio a riservare allo sport uno spazio nel suo discorso di insediamento. Lo ha fatto perché è un appassionato e anche perché comprende l’importanza, anche economica, dello sport che vale l’1,6% del Pil, il 3,2% se consideriamo l’indotto. Inoltre, se ben diffuso e praticato, fa scendere la spesa sanitaria aiutando il benessere delle persone. Infine, se facciamo una nuova legge sugli impianti a partire dai 500 posti, per favorire anche gli sport minori e la multidisciplinarietà, si crea un notevole contributo allo sviluppo e all’occupazione. La questione degli stadi delle grandi società è solo la punta dell’iceberg di tutta la questione impianti. Siccome tutto ciò favorisce l’occupazione e la fuoriuscita del mondo del calcio dalla palude nella quale oggi siamo, ho detto al presidente del Consiglio che le leggi che servono le deve fare il Parlamento. Sono fiducioso che manterrà gli impegni presi con il mondo dello sport.
Caro Presidente, capisco che adesso nel suo nuovo ruolo deve essere più istituzionale e meno tifoso,ma la sua passione per la Roma, testimoniata anche da quella bella maglietta giallorossa con il numero 13 e il suo nome che vedo sulle pareti del suo ufficio, non la vogliamo dimenticare…
Guardi, io odio l’ipocrisia. Tutti sanno della mia grande passione giallorossa e io non intendo nasconderla. Ciò non mi impedisce, ovviamente, di essere del tutto al di sopra delle parti nel mio ruolo e, semmai, di essere ancora più esigente verso tutti, a cominciare da quelli che mi sono più vicini per fede calcistica.
Allora cominciamo una serie di domande sulla Roma, a cominciare dallo stadio. Si farà?
Con la nuova legge non ci sono più alibi per nessuno, a parte, naturalmente, la compatibilità economica delll’operazione. Questa legge non elimina il dovere dei soggetti interessati a rispettare vincoli e norme di legge, però facilita le cose e accorcia i tempi per la realizzazione degli impianti. Sulla carta gli elementi per chiudere rapidamente la partita ci sono tutti, poi spetta ai soggetti interessati e alle istituzioni darsi da fare. Io so che la proprietà americana della Roma, l’ha ribadito qualche giorno fa anche il presidente James Pallotta, vuole fare lo stadio a tutti i costi e quindi confido che sarà fatto, anche perché sono per natura ottimista. Spero che abbiamo capito però che in Italia per fare una cosa non basta averne diritto, ma bisogna che ci sia qualcuno che ci lavori a tempo pieno, per vincere le inerzie burocratiche.
Si aspettava questo cambio di marcia della Roma rispetto alle recenti stagioni?
Ho detto fin dall’inizio che mi aspettavo che facessimo bene, ma non mi aspettavo che facessimo così bene. Sono rimasto sorpreso dai risultati e penso che possiamo proseguire nella scia positiva.
Il suo giudizio con Garcia.Mi pare, per parafrasare il presidente del Consiglio, uno con le “ball of steels”.
Non lo conosco personalmente anche se spero di aver presto l’occasione di incontrarlo, ma ho parlato sia con chi lo conosce in Francia sia con gli ambienti di Trigoria. Per esempio Francesco Totti che all’inizio era in un atteggiamento di curiosa attesa, adesso me ne parla in modo esaltante soprattutto sul piano della personalità e della serietà. È un allenatore che non lascia nulla al caso, meticoloso, con grande rispetto verso le persone, attento al merito. Mi pare che nulla gli faccia paura e che sappia come gestire la situazione. È proprio quello che ci voleva qui alla Roma.
Lei è molto amico di Francesco Totti. Un giudizio sulla sua stagione?Oggi più che mai la sua presenza si fa notare e la sua assenza pesa, eccome!
Anche i sassi sanno quanto sia forte il mio rapporto con Francesco. Non sono sorpreso delle sue prestazioni sapendo come e quanto lavori. Lui sa che ha gli occhi della gente puntati addosso da tutto il mondo e tenendoci a fare bella figura è ancora più professionista. Fino all’infortunio infatti ha dimostrato a tutti, anche agli scettici, che come lui non c’è nessuno.
Lo porterebbe ai Mondiali?
Certo. Credo che quando si arriverà a definire la lista dei convocati lui e Prandelli, che si stimano tantissimo, si vedranno e faranno le loro valutazioni.
Capitolo Olimpiadi,mi sembra che emerga la volontà di una candidatura italiana.
Sì, non è un pallino mio o del Coni, dev’essere un obiettivo del paese. Vedo in giro molto pessimismo. Io vorrei consegnare ai giovani un sogno da coltivare, stiamo parlando di un progetto a lunga scadenza. Non possiamo mettere una città contro l’altra, la candidatura che uscirà dovrà essere condivisa da tutti. E vorrei anche sottolineare che l’esperienza londinese ci dice che le Olimpiadi possano lasciare un segno molto positivo nella città e nel paese che le ospita, come è accaduto a Londra.
Roma ha delle chance?
Sì, le chance di Roma sono molto forti, ma non si tratta di una scelta obbligata.