(A.Austini) Sin dall’inizio si sono sopportati più che piaciuti. Nel 2011 Unicredit, con una Roma quasi fallita sul groppone, ha deciso di cedere la società all’unico offerente solido: il consorzio Usa guidato ufficialmente da DiBenedetto ma in realtà da Pallotta. Infatti alla prima firma del 18 aprile a Boston, i dirigenti della banca hanno preteso la presenza di «Jim».
Da quell’accordo sancito in pompa magna al closing dell’operazione sono passati altri quattro mesi, col serio rischio di far saltare il banco. In un’agitata riunione londinese l’affare stava per andare all’aria: gli americani chiedevano di diminuire il prezzo delle quote e aumentare la cifra dell’aumento di capitale per rimpolpare le casse vuote del club. Dopo giorni di tensione (e di pressioni esterne tese a far naufragare la trattativa), Unicredit e Pallotta hanno trovato la quadra definitiva . L’ingresso degli americani a Trigoria non è stato affatto soft. Hanno cercato di tagliare qualsiasi ponte con il passato.
Anche nel cda: con la banca si è discusso sull’opportunità di far sedere ancora in consiglio Pippo Marra, fedele scudiero della vecchia proprietà. La sedia del patron di AdnKronos è rimasta intatta, così come la sua abitudine di scrivere lettere pubbliche. L’ultima è datata febbraio 2013, con richiesta di chiarimenti agli americani nel pieno della trattativa con Al Qaddumi. Gli uomini di Pallotta hanno firmato un preliminare col fantomatico sceicco, senza ascoltare il parere negativo di Unicredit che alla fine ha avuto ragione e non ha nascosto la sua soddisfazione.
L’accordo di agosto scorso, con cui gli americani hanno acquistato un ulteriore 9% di quote, sembrava aver calmato le acque. Invece ecco i cinesi, il botta e risposta al veleno. Aspettando un’altra lettera di Marra.