(D. Palizzotto) Quattro milioni di euro per un disastro. Quattro milioni di buone ragioni per non accontentarsi dell’attuale rendimento degli arbitri italiani, finiti al centro della bufera per gli errori dell’ultimo weekend calcistico e in particolare per quanto accaduto a Torino, dove la Roma può legittimamente recriminare per la vittoria sfuggita a causa degli abbagli dell’arbitro Luca Banti: forse discutibile il contatto Meggiorini-Benatia sull’azione del pareggio granata, chiaro e incontrovertibile il fallo da rigore commesso da Darmian su Pjanic. Ma i disastri del signor Banti all’Olimpico di Torino non sono certo i soli commessi dai direttori di gara in queste prime undici giornate di serie A.
Come dimenticare l’arbitraggio del «giovane» Tommasi in Lazio-Genoa, con due rigori negati alla squadra di Petkovic prima del penalty accordato agli uomini di Gasperini? E ancora si possono ricordare i vantaggi avuti dal Napoli contro Milan (mancano due rigori su Poli e Balotelli), Torino (due penalty inesistenti), Fiorentina (non fischiato un rigore su Cuadrado) e Catania (fallo in area di Behrami su Castro); oppure gli episodi fortunati per la Juventus (gol regolare annullato al Chievo sull’1-1 e rete segnata da Tevez in fuorigioco contro il Torino). La lista è inevitabilmente parziale, ma sufficiente per fotografare la situazione. Gli arbitri della serie A non sono certo i peggiori nel panorama europeo. Al contrario, alcuni fischietti italiani figurano nelle prime posizioni internazionali per rendimento. Ma il numero e l’importanza degli errori commessi in questo avvio di stagione indicano una necessità inderogabile: la squadra diretta dal designatore Stefano Braschi può, anzi deve migliorare ancora. Anche perché il «sostegno economico»certo non manca. Detto altrimenti, lo «stipendio» medio degli arbitri di serie A non è affatto condizionato dalla crisi. Gli anni Novanta – quando il fischietto migliore incassava 30 milioni di lire lordi a stagione e poteva (o in alcuni casi doveva) dedicarsi anche ad un’altra attività – sono molto lontani.
Oggi arbitrare in serie A (ma anche in serie B) è un lavoro a tutti gli effetti per quanto riguarda l’impegno richiesto – i direttori di gara sono professionisti chiamati ad allenarsi almeno cinque (se devono dirigere una gara la domenica) se non sei volte a settimana – e soprattutto per gli introiti assicurati. Come spiegato nella tabella a fianco, un arbitro di serie A guadagna almeno 55 mila euro lordi ogni anno, un contributo fisso che può salire fino a 80 mila euro se il fischietto ottiene la qualifica di«internazionale». Allo «stipendio minimo» vanno poi aggiunti i soldi incassati per ogni direzione di gara: una partita di serie A vale 3800 euro lordi, rimborsi esclusi, mentre le gare di Coppa Italia hanno tariffe crescenti con l’avanzare del torneo (la finale vale come una sfida del massimo campionato). Per i dieci arbitri internazionali ci sono poi gli introiti garantiti dalle sfide europee: una partita di Champions vale 5000 euro lordi, rimborsi esclusi. Il totale non è difficile da calcolare. Un arbitro di serie A guadagna almeno 120 mila euro lordi a stagione (oltre 5.500 euro netti al mese), un internazionale può anche superare i 200 mila euro l’anno. Nell’ultima stagione, ad esempio, Nicola Rizzoli ha arbitrato 17 gare in serie A, cinque in Champions (tra cui la finale), una in Europa League, tre partite valide per le qualificazioni a Brasile 2014 e due per il Mondiale under 20, sfiorando o forse addirittura superando i 200 mila euro lordi (quasi 10 mila euro netti al mese). La spesa totale per i 21 arbitri della serie A – tenendo conto anche dei rimborsi – sfiora invece i 4 milioni di euro: pretendere meno errori non è certo esagerato.