(G. Oricchio) Fuga all’estero: il calcio come le principali aziende italiane. Qualcuno racconterà che è stato per miopia gestionale, qualcuno sosterrà che l’Italia non è capace di valorizzare le sue risorse e ora è costretta a svendere, qualcun altro che è la globalizzazione, bellezza.
Sta di fatto che anche il pallone se potesse parlare non si esprimerebbe in italiano o perlomeno non solo. Sta cambiando tutto nello sport più amato della penisola: il pater familias emancipa la figlia. Oggi è ET ovvero Erick Thohir che, insieme agli amici Roeslani e Soetedejo, ha messo sul piatto 250 milioni di euro per portarsi a Giacarta il 70% dell’Inter e chiudere l’era Moratti; l’altro ieri era stata la cordata di Pallotta e soci a porre fine a un’altra dinastia pallonara, quella dei Sensi.
Ennio Flaiano avrebbe scritto «Un marziano a Roma», così sono stati accolti indonesiani e americani. Prima molto rumore e stupore, poi scetticismo e infine accettazione e indifferenza. Lo straniero in casa diventa normale, in questo caso perché dimostra di saperci fare. E al tifoso importa vincere. In qualunque modo.
Insomma le regole del gioco sono cambiate: vuoi lo scudetto? vuoi rivedere in serie A i miti con gli scarpini? vuoi far bella figura in Champions? Allora servono mani internazionali. Più marketing, più tournée, più bilanci in ordine, più stadi di proprietà e meno top player. Di sicuro il magnate non regalerà a Mazzarri la panchina extra lusso e extralarge degli anni d’oro dove spiccava il baffino di Vampeta.
Nell’assemblea straordinaria di ieri che lo ha eletto Presidente (come anticipato da Il Tempo Moratti ha rifiutato l’incarico tenendo per sé un ruolo onorario, il figlio Angelomario vicepresidente), Thohir è stato chiarissimo:«Un ringraziamento speciale al mio amico e nuovo partner Massimo Moratti per la fiducia e per il supporto. Tra dieci anni solo 10 club calcistici saranno noti in tutto il mondo perché entusiasmano e perché società sane. L’Inter sarà uno di questi. Dovremo essere creativi per attrarre nuovi fan. In Asia ci sono 2,5 miliardi di persone, tutta gente che deve essere coinvolta affinché la serie A torni a essere famosa come negli anni ’80. Anche negli Usa ci sono 250 milioni di persone che apprezzano il soccer e da oggi aumenterò il numero dei tifosi nerazzurri. Io, Handy e Rosan porteremo il nostro know-how commerciale unendolo alle competenze della famiglia Moratti nel calcio per rendere l’Inter una società sostenibile». Cita Facchetti sui trionfi e dice da fan: «Chi non salta rossonero è».
Competenze e sostenibilità, queste le parole chiave: il nuovo che avanza è rispettoso del glorioso passato, alla Pinetina si è rivelato un neofita appassionato di calcio privo del vizio italico di fare il CT, ma ha il business come obiettivo principale e per ottenerlo più in fretta possibile (cruciali i prossimi 3 anni) sa che deve sfruttare tutte le conoscenze a sua disposizione evitando inutili rovesciamenti dirigenziali e tecnici.
Thohir userà il bisturi non il machete. Moratti ha avuto bisogno dei suoi soldi e il tycoon della sua esperienza. «Sarò utile per la squadra e la società» ha detto convinto Massimo che con i Sensi condivideva la passione viscerale e il fiume di denaro sperperato. Un’epoca romantica, ma «cicaleggiante» che il vecchio Occidente in crisi non può sostenere oltre.
Lo conferma anche la rivoluzione Barbara in atto al Milan:rinnovamento di persone e idee, ma la famiglia Berlusconi (parola di Silvio) non ha escluso l’ingresso di capitali arabi con quote di minoranze. E se vogliamo il primo campanello d’allarme suonò nove anni fa: per riportare in auge il Napoli ha dovuto varcare l’oceano Aurelio De Laurentiis il cui pallino non a caso è la mentalità internazionale. Per lui la squadra dell’asinello non è un grande amore, diciamo la verità, ma è un’azienda che deve produrre. Finora ha avuto ragione.
Resistono la Juventus in mano agli Agnelli, che però hanno chiuso e esportato un pezzo di Fiat in America, la Fiorentina dei Della Valle e la Samp dei Garrone. Ma il calcio è sempre meno un affare di famiglia.