(E. Sisti) – Con più di uno scricchiolìo la Roma è nella storia.. Qualcosa di travolgente trascina con sé difficoltà e momenti complicati, riesce a sublimare le assenze e a ipotizzare di non dover troppo piangere le mancanze future (Castan non ci sarà a Torino per squalifica). Ieri sbandando il giusto, lontano dall’entusiasmare e probabilmente dall’entusiasmarsi (all’Olimpico si è trepidato, non ci si è divertiti), la Roma ha raggiungo quota 30 punti in 10 partite, seguendo rigorosamente la tabellina del tre e lasciando a cinque punti Napoli e Juventus nella loro settimana senza coppe. E’ una condotta quasi anormale.
A Udine vittoria in 10 contro 11 a 8 minuti dalla fine, ieri vittoria con l’unica azione da gol costruita (bellissima però). La Roma si è tirata fuori dalla pastoia difensiva del Chievo con la prima verticalizzazione sensata della sua partita: è stato Florenzi a innescarla appena entrato (come Bradley, decisivo appena entrato a Udine), assist per Borriello che in tuffo ha schiacciato alle sue spalle, ricordando Pruzzo (23′ st). Non sono coincidenze, dice Garcia, se tutti danno il 100% anche per 10 minuti. Mancava giusto Borriello, all’appello dei marcatori.
Proprio lui, il centravanti, la punta generosa ma finora asfittica, che Garcia non ha mai smesso di lodare per l’interpretazione dei tanti ruoli in cui gli è stato chiesto di calarsi, soprattutto quello di panchinaro. Borriello se la sentiva “calda”. Nei minuti precedenti l’1-0 per due o tre volte si era portato appresso mezza difesa del Chievo con scorribande lungo le fasce, per smuovere un po’ la sua Roma vagamente imbambolata e concretamente fiacca. Aveva pure servito un pallone d’oro a Pjanic. Eppure la serata di ieri pareva fatta apposta per raccontare altre storie di calcio.
Per esempio la fine di una striscia vincente. Meglio non giocare a calcio ad Halloween, tirano brutti scherzi in giro. Il Chievo fanalino di coda s’è messo d’impegno. Ha bussato alla porta della Roma e ha deciso che era meglio lo scherzetto del dolcetto. E’ andata avanti così fino a metà del 2° tempo. Sannino aveva costruito un fortino di 5difensori con 3 centrocampisti destinati al controllo ossessivo dei possessori di palla romanista. Non c’era un buco nemmeno a pagarlo. Classica partita della grande che non riesce a dimostrarlo e della piccola che può soltanto fare la piccola.
Nel contrasto fra dimensioni e talento si genera spesso confusione e il livello della prestazione generale si abbassa (ieri maluccio per la prima volta Strootman). Nel 1° tempo la Roma ha tirato 4 volte in porta da lontano. Nessun pericolo creato. L’obiettivo di Garcia era di addensare il Chievo spostando al centro Ljajic per aprire le fasce, ma i cross non hanno funzionato. Pjanic lavorava molto. De Rossi moltissimo. Ma la densità avversaria e lo scarso contributo di Marquinho rendevano impossibile qualunque fluidità di manovra.
La Roma che ha battuto il Chievo è esattamente la Roma che Garcia ha notato, soffermandosi più sui disagi che sulle bellezze. Vincente ma non così costante e compatta come lui vorrebbe sempre. Nella pur minima crepa può sempre infilarsi un giocatore avversario. Garcia sarà contento e arrabbiato. I punti lo consolano, il carattere pure. Ieri sera però ha obbligato i suoi a cenare all’Olimpico. Una punizione e un’occasione per riflettere. Non gli è piaciuta l’idea di qualcuno di loro, domenica appena tornati da Udine, di fare le ore piccole al Gilda. Basta un po’ di benzina sbagliata e il motore s’inceppa. Anche se guardi tutti da lassù. Perché sprecare tutto con un mojito?