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ORA D’ARIA “Riflessioni sparse” di Paolo Marcacci

Ora d’aria di Paolo Marcacci

Questa settimana si corre il rischio di fare un gran disordine; di mescolare tanti argomenti in un unico calderone.
Apparentemente. In realtà, facendo lo sforzo di osservare gli avvenimenti e di evidenziare le dinamiche da cui sono scaturiti, possiamo abbastanza agevolmente individuare il filo rosso che li lega e collega, il denominatore comune che li fa coesistere all’interno delle nostre righe.
Dalla Nocerina al fuorigioco di Llorente, passando per l’arbitraggio di Giacomelli all’Olimpico e, se proprio vogliamo farci un surplus di sangue amaro, infilandoci dentro anche i mancati appuntamenti di Ibra con quel minimo sindacale di sensibilità che sarebbe lecito richiedere a una star del pallone.
Chiaroscuri del calcio, con i chiari sempre più difficili da individuare; Ibra a parte, tutto accade in Italia: sospetti, zone d’ombra, contaminazioni di malaffare, un clima di sfiducia generale verso il patrimonio di valori che questo gioco meraviglioso sarebbe ancora in grado di portare con sé, se venisse messo in condizione di farlo.
Forse è qui che cascano tanti asini, non solo per via di metafora: se alcuni ultras della Nocerina impediscono (meglio: riescono a impedire) a migliaia di tifosi della loro squadra regolarmente tesserati di assistere alla gara con la Salernitana; se ogni volta il sospetto che la spintarella arbitrale per la Juventus arrivi comunque trova puntuale conferma; allora siamo alle prese, innanzitutto, con un fallimento normativo: le regole sono fatte male e soprattutto non vige la regola che dovrebbe garantire il controllo di tutte le altre, se mi passate il gioco di parole.
Se le tessere non servono nemmeno a far entrare chi le sottoscrive, se i designatori falliscono nel designare e – ancor di più – nel non assumersi le responsabilità delle designazioni sbagliate e se la dietrologia non viene mai sconfitta ma sempre assecondata dalla realtà, per quale motivo dovremmo continuare a fidarci?
Guarda caso, uno come Ljajic che viene dall’altra sponda dell’Adriatico, dove anche calcisticamente ne hanno viste di tutti i colori, ha però evidenziato una realtà avvilente: in Italia l’arbitro lo puoi subire, guai però a parlarne.
E quando diciamo arbitro, non parliamo solo di quel signore vestito con colori sgargianti come i suoi sempre più discutibili cartellini; parliamo di potere, anzi di sistema. Quello che rende tutto lecito e che addirittura lo giustifica.
Giustificheranno persino Ibra che non ha trovato il tempo per un bambino malato venuto da lontano apposta per incontrarlo, vedrete.

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