Il tecnico giallorosso Rudi Garcia ha rilasciato una lunga intervista al Corriere dello Sport per fare il punto stagionale e per parlarne del momento della sua squadra:
Ora il Natale. Tra due settimane, tu e i tuoi nella tana della Juve. Sarà una partita epica. C’è da salvare anche il campionato.
«Andremo lì come ovunque, con la volontà di vincere».
Sapientoni patentati, da Sacchi a Lippi, dicono che non c’è storia, la Juventus ha già intascato lo scudetto.
«Vedremo a fine stagione se avranno avuto ragione o no».
A proposito di marziani. Ti hanno rivolto diverse domande stravaganti negli ultimi tempi. Del tipo: “A questo punto del campionato, la sua Roma ha fatto quello che doveva o qualcosa di più?”.
(sorride) «Qualcosa di più, è sicuro, l’abbiamo fatto. Nessuno se lo aspettava. Quando arrivo qui, sei mesi fa, non avevo una prospettiva lontana. L’obiettivo per me era che la squadra pensasse il mio calcio, giocasse il mio gioco. In francese si dice “adher à ma philosofie”».
(…)
Quella storia che è meglio starsene secondi che primi, ti chiedono ogni volta spiegazioni.
«Ma che domanda è? Quelle cose, è evidente, le dici per calmare un ambiente che parla troppo di scudetto».
Hai anche detto che con i giocatori nello spogliatoio parli in un altro modo.
«E ci mancherebbe. Ma certo, se non troviamo noi il modo di crederci!… Come pensate che abbia vinto uno scudetto a Lilla, con una squadra non certo programmata a vincerlo…».
Chi ci crede di più tra i tuoi?
«Tutta la squadra ci crede, sa che può fare un campionato incredibile. Non faccio nomi, ma posso dirti che alcuni importanti giocatori hanno cambiato la loro opinione sulle possibilità di questo gruppo».
Lo faccio io il nome: Daniele De Rossi.
«Lascio che sia lui a dirlo».
L’ha detto in una recente intervista.
«Daniele non è solo un giocatore importante, è un uomo incredibile».
Che intendi per“incredibile”?
«E’ un affettivo. Uno che pensa molto con il cuore. Anche in campo è forte, cattivo, sa fare tutto. Ti coinvolge molto sul piano sentimentale. Per questo è molto amato dai compagni».
Altri affettivi nel gruppo?
«Morgan (De Sanctis) è molto intelligente. Ha una personalità forte, è sempre positivo. Non è mai condizionato dalle critiche negative».
Il tuo Benatia.
«Ah Mehdi… L’uomo è come il giocatore. Forte, sicuro, grande fiducia in sé. Si ricorda bene cosa dicevano di lui e di Leo (Castan), che erano lenti, che non erano una coppia di alto livello».
Dicevano veramente che insieme erano scarsi, incompatibili.
«Stanno dimostrando di essere una delle migliori coppie d’Europa. Di fisico, di testa, puntuali sull’uomo, intelligenti a posizionarsi e bravi anche sul piano tecnico. Ho capito velocemente che con questi due insieme avremmo fatto cose importanti».
Leo Castan, parecchio sottovalutato. Cominciano ora a scoprirlo.
«Spero proprio di sì. Castan è un Burdisso giovane».
La città è innamorata dell’olandese. Il tuo Strootman.
«Il vero Kevin lo scopriamo adesso. A Milano l’hai visto, assist, tackle, corsa. Lui può diventare ancora più importante in questa squadra. Penso a Bergamo. Primo tempo squadra giù, lui una spanna sopra. Voleva più palloni ma non sempre gli arrivavano. Lui deve imporsi. Quando parte e non gli arriva la palla in corsa, deve farsi sentire».
Il tuo, in tutti i sensi, Gervinho.
«Lui ha bisogno di sentire la fiducia dell’allenatore e dei compagni. Gervi è uno tranquillo fuori campo. Non parla molto, ma sta bene con il gruppo».
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I cinque punti in più della Juventus.
«Ho anche sentito dire che non va poi così bene questa Roma. Come puoi fare 41 punti dopo 17 partite e non andare bene? Quasi sempre, con risultati così sei primo per distacco».
La storia dei quattro pareggi di fila.
«Dico solo che, con lo stesso contenuto, era molto possibile vincerle queste partite».
Si parla di arbitri. Eterno languore della piazza romanista.
«Che dire su questa cosa? Io sono un uomo di buon senso, non penso al complotto. Non avrebbe senso vedere una squadra che uccide il campionato a metà stagione».
A Bergamo, a fine partita, hai per la prima volta rotto la consegna del silenzio. Concordato con la società?
«No. Venivo dallo spogliatoio. Avevo raccolto il malessere dei giocatori. Sai, quando succede una, due, quattro volte di fila, è normale. Ho sentito il bisogno di rappresentarlo. Il sentimento più difficile da accettare è quello dell’ingiustizia».
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Francesco Totti. L’equivoco della tua frase sul “leader”.
«Chiariamolo. Nel calcio, come nella vita, ci sono leader differenti. Francesco non è un leader di parola o di spogliatoio, lui è un leader di campo».
Gli è stata attribuita pigrizia mentale.
«No, veramente no. Lui ama il calcio. Totti è molto intelligente. Anche le intelligenze sono diverse. C’è quella acculturata, di chi sa molte cose, c’è l’intelligenza della vita, quella di Francesco. Non ha bisogno di molto tempo per capire».
Comunicate bene?
«Spesso non abbiamo bisogno di parlare. Ci basta uno sguardo. Siamo quasi sempre d’accordo sulle cose del campo».
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L’avevi portato in panchina già con la Fiorentina.
«L’ho fatto per caricare il gruppo e mettere pressione all’avversario. Aveva solo un quarto d’ora nelle gambe. Ho pregato di non avere bisogno di farlo entrare. Era un rischio che non volevo prendere. Capisci cosa vuol dire avere Totti, il dio del calcio, vicino a te in panchina? La tentazione è forte…».
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Gli americani vogliono titoli e stadio. Stadio, soprattutto.
«La loro ambizione è forte. E io ho voglia di essere protagonista di questa ambizione».
Il tuo James Pallotta.
«James è veramente una bella persona. Un uomo gentile, sempre molto attento a farti sentire in fiducia».
Un uomo pirotecnico. Si è buttato vestito nella piscina di Trigoria.
«Questa storia della piscina non me l’ha detta nessuno. Vado a fare le mie indagini».
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Il tuo Pjanic.
(s’illumina a giorno) «Ah, Pjanic.,.. Miralem è un genio del calcio, un Francesco Totti più giovane. Un uomo molto intelligente, parla cinque lingue».
Parli volentieri con lui?
«Ma non più degli altri. Lui e Mehdi parlano francese, all’inizio veniva più facile parlare con loro».
Fu tua la scelta finale di chi cedere tra Pjanic e Lamela?
«Due talenti assoluti. Ma per il mio calcio era fondamentale Miralem. Il mio gioco lo fanno i tre del centrocampo. I due terzini per me sono due attaccanti».
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Si è detto che non ti prendi molto con Ljajic.
«Completamente falso. Adem ed io abbiamo un ottimo rapporto».
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Curve chiuse o aperte. C’è razzismo nel calcio?
«Se c’è una scuola di vita è il calcio. Nello spogliatoio non facciamo attenzione al colore della pelle o alla religione. Non c’è razzismo tra i giocatori».
C’è razzismo verso Balotelli?
«Il giocatore è fortissimo, del resto non parlo, è terreno minato. Ma non penso che, nel caso suo, ci sia una questione di pelle».
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