(M.Cecchini) Mentre lo vediamo avvicinarsi e tenderci la mano con un sorriso di convenienza, nella testa ronza forte il brusio di confidenze che Trigoria ci ha portato in dote negli ultimi giorni. «Tutto quello che ha sofferto lo ha cambiato. È diventato più diffidente, spesso parla col freno a mano tirato». Difficile sorprendersi. Prima della resurrezione santificata dai due gol contro Fiorentina e Milan, Mattia Destro, ad appena 22 anni, era parso il simbolo di un calcio frettoloso, pronto a divorare senza rimorsi i suoi figli migliori. A gennaio l’infortunio al menisco esterno del ginocchio sinistro e l’operazione, ad aprile un primo rientro a singhiozzo, poi un Europeo Under 21 da comprimario e quindi il mistero sceso su una rieducazione piena di polemiche.
La Grande Speranza azzurra, l’uomo mercato 2012 (16 milioni) si era perduto in un’assenza dolorosa, terminata solo il 15 dicembre con un rientro da protagonista. Ma anche le favole belle, in fondo, possono lasciare cicatrici nell’anima.
Destro, allora lei non è un calciatore finito.
«È stato scritto. Diciamo che adesso sono tornato calciatore. Se bravo o meno, lo lascio giudicare agli altri».
Pensa sempre che non ci sia niente di male a dire ciò che si pensa?
«Resto della stessa idea. Anzi, sono ancora più sincero, ma al momento giusto».
Ha mai temuto di smettere di giocare?
Pausa. «Forse no. Ho sempre voluto pensare in positivo, provando a farmi scivolare addosso tutto ciò che dicevano».
Crede che pagherà qualcuno per gli errori che sono stati fatti?
«Non lo so, non dipende da me».
Questo periodo difficile è stato utile a conoscere meglio le persone che le erano vicine?
«Sì, è stato un modo per fare pulizia».
Adesso lucidi tre motivi per cui la Roma può vincere lo scudetto.
«Perché siamo forti, perché giochiamo bene e perché c’è un grande gruppo».
E tre motivi per cui non può vincerlo?
«Mah, non saprei… Juve e Napoli sono forti, e poi i bianconeri sono più abituati a vincere».
Lei da bambino era tifoso juventino, ci sarebbe un gusto maggiore a batterla?
«Sarebbe bellissimo, infatti ci provo».
Le è passato in testa l’idea di andare in prestito a gennaio per tornare prima in forma?
«No, voglio restare qui. Con Garcia, poi, mi trovo benissimo».
Lei e Balotelli eravate la coppia d’attacco della Primavera dell’Inter: se lei fosse un tifoso nerazzurro andrebbe a chiedere spiegazioni ai dirigenti nerazzurri per cessioni del genere?
«Non saprei. Sono stati loro a prendere certe decisioni e avranno pensato di fare bene».
Ha sofferto quando l’Inter l’ha ceduta al Genoa?
«Neppure tanto. Certo, quando cresci in un club speri un giorno di esordire in Serie A».
Prandelli ha detto che nell’ultimo anno il campionato gli ha proposto poco per la Nazionale. Che dice, col suo ritorno è meglio che non perda il girone di ritorno?
«Un passo alla volta. Alla Nazionale ci tengo, ma devo prima tornare in piena forma».
Come finisce il Mondiale?
«Le favorite sono Brasile, Spagna e Argentina, ma occhio a Italia e Olanda. E poi noi abbiamo una grande tradizione in eventi del genere»
Una volta ha detto che Balotelli era più completo di lei: lo pensa ancora?
«Mario è il più forte attaccante italiano».
Che ne dice di un’Italia al Mondiale con questo attacco: Destro, Balotelli e Rossi?
«Sarebbe un sogno. Loro due ci saranno di sicuro, io ho solo paura che avere troppi obiettivi mi possano distogliere da ciò che faccio».
Che direbbe a chi fa i «buu» a Mario?
«Per me i “buu” non sono solo una maniera razzista di esprimersi».
Be’, per i calciatori bianchi è difficile sentirli.
«Gli insulti però ci sono per tanti giocatori».
Tra insulti e razzismo c’è differenza.
«Questo è vero, io comunque non dico che sono cose belle. Anzi, non bisogna farli».
Farebbe un appello ai tifosi di tutti i club contro episodi del genere?
«Sono stati già fatti».
Lei ha fama di chi litiga con i tecnici: è cambiato?
«Ho un caratterino particolare, ma ora sono migliorato».
Qual è l’allenatore a cui deve di più?
«Soprattutto a Sannino».
Sui giornali lo spazio è cannibalizzato da calcio scommesse, Moggiopoli e razzismo: perché una persona dovrebbe appassionarsi alla Serie A?
«Perché il calcio è uno sport bellissimo. E io non vorrei andarmene dal nostro campionato».
Lei sarebbe pronto a denunciare un collega?
«Io non ho mai notato cose strane intorno a me, ma sarei pronto. Bisogna saperlo fare».
Voltiamo pagina. Roma è invasa dalla cosiddetta protesta dei Forconi. Dia loro un motivo per non prendersela anche con lei.
«Con me? E perché?».
Perché rappresenta un mondo ricco e privilegiato.
«Io faccio una vita normale, senza eccessi. Che cosa dovrei fare: regalare tutto a chi capita? Ho intrapreso una strada e vado avanti».
Se fosse disperato scenderebbe in strada?
«Non a questa età».
Va a votare?
«Sì, ma non mi chieda per chi voto. Prima di andare prendo qualche informazione».
Qual è stato l’ultimo libro che ha letto?
«È stato 4 anni fa. Era un libro di guerra… Ma non ricordo di che guerra parlasse».
Eppure leggere è bellissimo e voi calciatori avete tanto tempo libero.
«Io ci provo, inizio, ma poi non ce la faccio e lascio perdere».
Vero che prima di scendere in campo ascolta Jennifer Lopez e Danza Kuduro?
«Non parliamo di musica. I compagni mi prendono sempre in giro perché dicono che ho dei gusti pessimi».
Usa i social network?
«No, non sono molto tecnologico e non ho la pazienza di seguire queste cose».
Rieducazione a parte, se le parlo di sacrifici per diventare calciatore cosa le viene in mente?
«Una gita scolastica delle scuole medie. Non ricordo più neppure dove saremmo andati, ma ci tenevo tanto a farla. A quella età, la cosa più bella era stare con gli amici, però dovevo giocare e quindi la saltai. Mi dispiacque tanto. La gente dovrebbe sapere che il calcio non è solo quello che appare. Dietro c’è anche altro».
Nel mondo dello sport a volte capita che dei campioni abbiano dei genitori ingombranti. Suo padre Flavio è stato calciatore in Serie A: è stato mai un problema?
«Guardi, in casa abbiamo sempre parlato poco di calcio e mio padre non ha mai influenzato le mie scelte. Per questo i nostri rapporti sono stati sempre ottimi».
Qual è stato il più grande rimpianto della sua carriera finora?
«Non essere arrivato al cento per cento alle finali dell’Europeo Under 21. Sempre colpa dell’infortunio, naturalmente».
Però adesso, se continua con questa media realizzativa, potrebbe fare 15 gol nelle prossime 15 partite.
«Magari, sarebbe bellissimo».
E Mattia ci regala l’unico sorriso radioso del suo pomeriggio da intervistato. Proprio un attimo prima di andar via per tornare a inseguire i suoi sogni.