(A.Catapano) Il grande giorno è arrivato. La visita del clan Pallotta in Campidoglio ha una forte valenza simbolica –la leggenda degli hedge funds che pur di realizzare lo stadio dei (suoi) sogni deve fare i conti con le istituzioni – e un evidente significato politico: il presidente della Roma spera di ottenere dal sindaco il primo sì al progetto curato dall’architetto Dan Meis e affidato al project manager Luca Parnasi, costruttore che sa districarsi benissimo tra amministrazioni locali e banche (UniCredit in testa). Avendo trovato in questi mesi la strada spianata, è facile ipotizzare che oggi il progetto Meis-Parnasi otterrà il gradimento del sindaco Marino e il suo impegno, magari solo di facciata, a superare gli ostacoli – urbanistici e ambientali – che l’area di Tor di Valle presenta. Del resto, per lo stadio che verrà si sono già sacrificati posti di lavoro. L’intero movimento del trotto fatto morire in nome, si teme, dell’ennesima speculazione edilizia.
L’ATTESA L’acqua del Tevere e il traffico della via del Mare sono gli ostacoli più evidenti alla realizzazione di uno stadio a Tor di Valle. Gli ambientalisti sono sul piede di guerra e gli abitanti del Torrino preoccupati. Eppure, nessuno in questi mesi si è scandalizzato per la chiusura dell’ippodromo, premessa necessaria alla sua trasformazione in stadio di calcio. Piccola cronologia degli eventi: Luca Parnasi non ha versato i 42 milioni di euro (o 21 più l’impegno a costruire un ippodromo del trotto sostitutivo) che doveva a Gaetano Papalia, la società che gestiva i dipendenti dell’ippodromo (51, senza stipendio per un anno e mezzo e senza Tfr) è fallita e quella che curava l’attività ippica aspetta che un’udienza del tribunale, in programma prima di Natale, stabilisca se deve fallire anch’essa o se può ristrutturare il suo debito con Equitalia. Se la decisione del tribunale sarà negativa, il terreno su cui sorgerà lo stadio della Roma sarà acquistabile all’asta, e per pochi milioni. Parnasi, insomma, risparmierebbe un bel po’.