(M.Pasotto) –Nervoso. Anzi, più verosimilmente, innervosito. La partita che per Mario Balotelli avrebbe dovuto essere la messa in pratica dei consigli presidenziali,si è trasformata presto in una spirale di irritazione da cui il Balo è riuscito a districarsi solo in pochi momenti. Fra i motivi, senz’altro gli stessi che a maggio avevano macchiato l’ultimo Milan-Roma a San Siro: gli ululati dei tifosi romanisti. I primi buu, mischiati ai fischi, sono arrivati dopo otto minuti del primo tempo, in seguito a una sua punizione parata da De Sanctis. Il secondo episodio, ben più udibile e nitido, al 12’ della ripresa, dopo uno scontro in area con Benatia, con Mario che ha chiesto inutilmente il rigore. Così è scattata la segnalazione dell’arbitro, e con essa sono arrivati gli avvertimenti dello speaker. In due occasioni: al 14’ e al 18’. Stavolta la questione è terminata così. Stavolta Rocchi, a differenza di quanto fece a maggio,non ha interrotto la partita. Ma ora occorre capire che cosa finirà oggi sul tavolo del giudice sportivo. La Roma, i cui tifosi sono recidivi, rischia la chiusura di entrambe le curve dello stadio Olimpico: sia la Sud sia la Nord sono infatti sotto diffida per i cori di discriminazione territoriale durante Roma Napoli.
Scarpe biografiche L’aspetto razzista, però, probabilmente non è l’unico ad aver innervosito Mario, che soprattutto nel primo tempo non è riuscito ad avere palloni davvero giocabili fra i piedi. Tanto da finire i primi 45 minuti con un gesto di stizza: quando Rocchi ha spedito tutti nello spogliatoio, il Balo ha gettato i guanti a terra. Glieli ha raccolti Kakà. Nel secondo tempo si è messo a giocare davvero dopo una ventina di minuti. Caccia agli avversari, tagli, scatti, suggerimenti. Fino all’assist che ha mandato in gol Muntari. Ma anche fino all’occasione d’oro agli ultimi respiri della sfida, sprecata malamente. Nel mezzo, un’altra ammonizione assolutamente evitabile: Mario è andato a brutto muso davanti a Strootman, che aveva steso Kakà, e Rocchi gli ha mostrato il giallo. E allora in questi frangenti è inutile chiedersi «why always me?», perché sempre me?[…]