In una fredda sera invernale si è conclusa con una risoluzione anticipata, la storia di Julio Sergio con la Roma. Una storia di molte – forse troppe -ombre e di poche ma quanto mai intense, indimenticabili ed emozionanti luci, moltiplicate dai riflessi di un portiere giunto nella Capitale un po’ per caso e trovatosi dopo lungo peregrinare al posto giusto nel momento giusto. Uno abituato al sacrificio ed agli amari bocconi, il numero uno verdeoro, approdato negli anni di Spalletti, e mai preso in considerazione tanto da venir spesso aggregato agli undici in campo durante la partitella, piuttosto che preposto alla sorveglianza dei pali. Non si é mai dato per vinto Julio, ha aspettato le favorevoli congiunture astrali, in quel taciturno e composto silenzio che ne ha contraddistinto il cammino, per mostrare tutto il suo valore e divenire meritevole dell’appellativo di “miglior terzo portiere del mondo”. Un ossimoro, un rumore sordo, un nonsenso che mostra l’attitudine tipicamente romana all’esaltazione ma anche al paradosso. Poco più di una parentesi in 7 anni di Roma ma che certamente ha inciso a fuoco il suo nome nei cuori dei sostenitori giallorossi. Julio Sergio il brutto anatroccolo diventato improvvisamente cigno. Un cigno nero come nera era la casacca che aveva scelto di indossare – chissà magari per scaramanzia – e che ha contrassegnato i suoi momenti più importanti. Desaparecido per 4 stagioni, il suo anno venne nel 2009con l’esordio non proprio indimenticabile in quel Roma-Juventus che sancì la fine del “panchinato” del profeta Spalletti.
Era una Roma in difficoltà quella del 2009, prossima al derby con i cugini della Lazio, in una posizione di classifica a dir poco critica e con il morale sotto i tacchetti. Sulla panchina sedeva Ranieri, il quale – nel portare quell’innovazione che in genere contraddistingue l’avvicendamento fra allenatori – aveva lanciato titolare Julio Sergio, assurto a prima scelta per il tecnico romano a causa delle precarie condizioni fisiche di Doni e di un rendimento scadente del sostituto designato Artur. Quel giorno, Julio Sergio, non solo blindò il successo giallorosso ma scavalcò definitivamente i suoi dubbi contendenti nelle gerarchie di Ranieri . E lo fece sfoderando la parata dell’anno su Mauri: dopo essersi tuffato per opporsi ad un tiro di Zarate, nell’occasione aiutato dal palo – perchè non esiste eroe senza circostanza fortunata – sulla conseguente respinta l’estremo difensore giallorosso si trovò riverso in terra. Nel frattempo Stefano Mauri aveva puntualmente calciato verso la porta sguarnita il pallone del possibile, ormai quasi certo, vantaggio laziale. Quel giorno però si respirava aria di rivincita. Quel giorno accadde l’imponderabile: Julio Sergio da terra compì un balzo felino, come una molla. Distese la sua – fino ad allora tenera – mano, in quell’istante divenuta duro palmo. Schiaffeggiò la sfera, togliendola letteralmente dalla porta, fra le imprecazioni del pubblico biancoceleste – attonito – e la gioia mista ad incredulità di quello romanista, che pareva folgorato da una visione. Julio Sergio simulacro vivente dell’arte dell’imprevisto quale è il calcio, quando dove meno te l’aspetti si manifesta l’impossibile.
Non si arrestò lì l’ascesa del numero 27 natio di Ribeirao Preto, lontano quanto inospitale agglomerato urbano nello stato di San Paolo, dove nelle vene non scorre sangue ma un pallone di cuoio.
Dal Sudamerica – teatro di rappresentazioni di portieri improbabili, folli interpreti di un ruolo solitario ,assegnati alla difesa dei pali perché non ritenuti in possesso di quei requisiti tecnici per dominare il pallone – ha origine la parabola di Julio Sergio.
“El Gato” Diaz attese una settimana per parare un rigore nella sua modesta, inesistente carriera, fregiata con un piccolo momento di gloria da tramandare ai posteri.
LO TIRA FLOCCARI – Julio Sergio attese molti anni di più. Se l’attesa del piacere é essa stessa da considerarsi un piacere, questa non é neanche paragonabile al grido di estasi del popolo romanista quando il numero 27 ipnotizzò Sergio Floccari.
L’attaccante biancoceleste dai dodici passi era pronto a tirare il rigore del 2-0, arrestando così la folle corsa della Roma, partita dai bassifondi fino ad arrivare clamorosamente in vetta a poche giornate dal termine del campionato, incalzata dall’Inter del Triplete. L’ignaro Floccari si apprestava a tirare quel rigore senza aver fatto prima i conti con Julio Sergio, che quel giorno conobbe il culmine della sua avventura in maglia giallorossa presentandosi puntuale al suo appuntamento con la gloria.
Quel 18 Aprile 2010 Julio Sergio – dopo aver passato una vita intera a vedere esultare gli altri, da quella panchina dove era incessantemente relegato – ebbe l’opportunità di uscire per sempre dall’anonimato, consacrandosi nelle menti e nei cuori dei tifosi giallorossi: il suo momento era arrivato. Il momento di riprendersi tutte quelle rivincite lasciate per strada negli anni, nel modo più incisivo possibile per un portiere, la parata su un tiro dal dischetto. Come un attaccante sogna da bambino di segnare un gol decisivo in un Derby, così allo stesso modo un portiere non può che sognare la parata di un rigore fondamentale. Julio Sergio neutralizzò il tiro di Floccari, avviando di fatto la rimonta dei suoi, attraverso quell’intervento più che mai risolutivo. Una parata anche un po fortunosa che fece maturare in campo e sugli spalti la convinzione che la Roma non poteva uscite sconfitta in quella gara così sentita. La partita finì come tutti sanno, il campionato pure. Ma quel giorno rimarrà indimenticabile per chi aveva atteso per un’intera carriera, il momento per assurgere ad eroe. Eroe di un pomeriggio a tinte giallorosse.
Un percorso nella gloria infranto dall’addio di Claudio Ranieri e dalle lacrime di Brescia dove il ragazzo rimase in campo con una caviglia rotta, nelle battute finali di una gara storta che instradò il tumultuoso processo della Roma verso nuovi rimpasti di cui il portiere verdeoro fece le spese piombando di nuovo in un sordido anonimato. Come a dire che se per una volta aveva vinto la sua battaglia contro il destino, questo era tornato a presentare il conto salato di uno sport tanto democratico quanto dittatoriale che una chance prima o poi la regala a tutti: che siano essi strepitosi talenti, decorosi calciatori o semplicemente scarponi inenarrabili, per poi rivelare l’essenza stessa della vita: bella, indomabile ma allo stesso tempo crudele e senza pietà.
Ciao Julio. Roma, Floccari ed i laziali non ti dimenticheranno mai. Tramanda pure ai posteri quel pomeriggio in cui con le tue mani stavi conducendo un popolo alla conquista di un sogno…
A cura di Danilo Sancamillo
Twitter: @DSancamillo