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IL MESSAGGERO Ancelotti: “Il mio tifo è per la Roma”

Carlo Ancelotti

(U. Trani) «Forza Roma! Così sanno tutti per chi tiferò domenica». Carlo Ancelotti è appena tornato a Madrid per riprendere il lavoro con il suo Real. «Non ho problemi certo a schierarmi». Il passato non si dimentica, come canta la Sud dell’Olimpico. Nemmeno lui lo cancella.

A Torino è stato da allenatore e i tifosi della Juve gli hanno dato del maiale per due stagioni, colpa dei successi in rossonero. Lì ha perso due campionati proprio contro le due squadre della capitale, facendo più punti di tutti i colleghi: 144. Sempre secondo, però. A Roma ha giocato e vinto lo scudetto. Qui lo chiamano con l’affetto di sempre Carletto: quando Liedholm lo portò in giallorosso, si presentò con la faccia da Bimbo; quando Viola lo spinse al Milan, portava al braccio destro la fascia di capitano e aveva già lasciato sul campo due legamenti crociati. La notte del 6 maggio del 2001 resta indimenticabile anche per lui: a sei giornate dal traguardo, è quella l’ultima sfida scudetto tra le due regine di questa stagione. Finì pari, 2 a 2 al fotofinish. Sulla panchina bianconera c’era proprio l’attuale tecnico del club più potente del pianeta.

Che cosa accade quella sera?

 «Ci siamo fatti fregare sul più bello. Rimontati negli ultimi dieci minuti.. Potevamo dimezzare lo svantaggio in classifica: da meno sei a meno tre. Eravamo due a zero, segnarono Nakata e Montella. Fu decisivo il giapponese che non doveva giocare… Quante polemiche, prima e dopo».

Perché?

«A due giorni dal match cambiarono la norma sugli extracomunitari. Cancellato il tetto dei tre tra campo e panchina. Per mettere Nakata, Capello doveva rinunciare a uno tra Samuel, Emerson e Batistuta. E invece ha potuto inserire anche il quinto, Assunçao».

Incredibile ma vero: quella volta si lamentò la Juve.

«Sì, ma la Roma meritò il titolo. Era forte e quadrata. E, in un torneo equilibrato, si aggiudicò il titolo perché più continua delle altre. Non dava spettacolo, era proprio una squadra di Capello. Con il carattere del suo tecnico e con giocatori esperti e di personalità. Concreta e affidabile. Io a Torino non sono stato troppo fortunato».

Magari è stata solo una questione di rosa: crede che la Juve di oggi sia più forte di quella?

«No. Anche se il calcio è cambiato. Adesso è un gruppo più dinamico e di corsa, il mio era più tecnico. Nella seconda stagione avevo una grande squadra: Zidane, Del Piero, Inzaghi, Conte, Davids e potrei andare avanti. Una volta il diluvio di Perugia, l’altra la Roma migliore dai giorni del nostro scudetto dell’ottantatre».

Ora sono i giallorossi a inseguire i bianconeri. Il primo scontro diretto a Torino: non è più il Delle Alpi, ma lo Juventus stadium. Gara decisiva, anche se ancora siamo all’andata?

«Se vincono i bianconeri e vanno a più otto, diventa durissima. La Roma non deve perdere. Comunque ci deve credere. Tra l’altrio non posso certo essere io a recitare il ruolo del pessimista».

Cioè? 

«Anch’io con il Real sto sotto, dopo diciassette partite, di cinque punti. E davanti ho due squadre: il Barcellona e l’Atletico Madrid. Quindi. cinque punti non sono niente… e campionato apertissimo. Per me e per Garcia».

Ha conosciuto e affrontato nella Ligue 1 il tecnico giallorosso: ci racconta qualcosa di lui? 

«E’ bravo e preparato. Il Lille giocava il miglior calcio di Francia. Sempre propositivo. Rudi mi piace molto. Sa lavorare bene con i giocatori, ha un bel rapporto con loro. Lì è più difficile che da noi: per avere il massimo, devi stimolarli quotidianamente e tanto. Noi siamo più preparati alla battaglia».

Prima di assumerlo, da Roma le hanno chiesto informazioni? 

«Mi chiamò Sabatini, al momento di prendere la decisione definitiva. Gli dissi che faceva bene a ingaggiarlo: era l’uomo giusto per il nostro calcio. Umile e moderno. Ha sempre fatto il 4-3-3: equilibrato e offensivo. E di qualità».

Può indicare la caratteristica principale di ognuna delle due rivali?

«La convinzione bianconera e la spavalderia giallorossa».

Perché molti suoi colleghi, da Sacchi a Prandelli, da Capello a Lippi, sono sicuri che lo scudetto lo vincerà la Juve?

«Semplice: per la solidità e per l’esperienza. E perché ha vinto gli ultimi due campionati. Sa come comportarsi. In più hà un potenziale notevole: rosa completa, fisica e raffinata».

Che cosa deve fare la Roma per ribaltare il pronostico?

«Se il gruppo segue Garcia, i giallorossi possono farcela. Il francese vuole che la sua squadra abbia sempre l’iniziativa. Gioca all’attacco, ma cura bene la fase difensiva. Il segreto è il centrocampo di altissimo livello: Pjanic, Strootman e De Rossi che è di nuovo al top. ora ha pure i gol di Destro. E Gervinho non è affatto una sorpresa: nell’uno contro uno è strepitoso. Poi c’è l’imprevedibilità di Totti».

I pericoli per i giallorossi?

«Le punte bianconere: Tevez e anche Llorente. Stanno bene insieme. Loro giocano sempre per gli attaccanti, l’azione è impostata subito per loro. Io l’ho incontrati due volte in Champions. Dietro si misero a quattro, giocando noi con le ali più il centravanti e il trequartista. Potrebbero fare così anche contro la Roma. Non cambia molto, ma loro conoscono meglio l’altro sistema e Conte lo sa bene».

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