Avete mai visto il mare a Milano? De Rossi sì, per la prima cosa vinta con la sua Roma si. Era un segreto che aveva dentro da troppo tempo. Quando il bambino era bambino… “E uno dei miei sogni che si e realizzato. E il primo trofeo con la Roma, prima non avevo vinto niente, neanche quando giocavo coi ragazzini. Nel settore giovanile la nostra era l’unica squadra che perdeva sempre, quella degli ’83, anche se poi molti di noi sono diventati calciatori affermati. Ci ho sempre creduto e abbiamo vinto una Coppa Italia che non e poco: ricordiamoci da dove eravamo partiti e come ci eravamo salvati due anni fa. Adesso spero che restino tutti, poi si puo migliorare sul distacco dall’Inter, non credo su Manchester: quella e una partita unica e non credo, anche se ho paura a dirlo, che perderemo più per 7- 1. Quella gara vale, in esperienza, come cinquanta partite di Champions. Questo è un buon inizio… Dopo il gol di Crespo urlavo “calma calma” ai compagni? Uno dice “calma, calma” pero poi non e tanto calmo… Avevo paura. Perdere questa Coppa sarebbe stata una tragedia, noi lo sapevamo che sarebbe stata dura, non lo dicevamo cosi tanto per dire. Sarebbe stato una tragedia: tutta questa gente che è venuta qui per noi, tutte queste aspettative. Per loro non ci sono parole, sono sempre lì. A Milano erano una infinita. Quando si dice quanto è bello giocare per la Roma o cos’è la Roma, si risponde la città, il clima, i compagni, ma sono i tifosi quelli che fanno la differenza. Li avete visti? A Milano erano una marea“.
Una volta che il desiderio è realizzato si può anche confessare il segreto: a Milano c’era la marea. A quel punto il ragazzino di Ostia non si può più nascondere, il mare s’ingrossa. Dopo il 6-2 e un 1-2 che ci dà la Coppa (“Ho visto Perrotta esultare parlando al cellulare con la moglie di un tifoso, ho visto Pizarro fare il golpe giusto in Cile, ho rivisto Bruno Conti in ginocchio sotto la curva…”), la partita più lunga della storia del calcio deve continuare. Dopo Inter-Roma al Meazza c’è Inter-Roma al Meazza. Dopo la Coppa c’è la Supercoppa. Dal 17 maggio al 19 agosto 2007 non passa un giorno: i tifosi della Roma sono sempre lì, una marea, De Rossi pure. Ma il segreto è scoperto, si va in mare aperto quando il capitano ti lascia il compito di attraccare la Lombardia. E’ il 33’ del secondo tempo, la Roma ha dominato la partita e adesso ha la possibilita di vincerla. E’ il 33’ del secondo tempo, qualche secondo prima Francesco Totti è stato steso dentro l’area da Nicolas Cage Burdisso. E’ il 33’ del secondo tempo, rigore. Va Totti. No. Per la prima volta da quando l’uomo inventò il cavallo, Totti non tira un rigore stando in campo. No, nessuno sciopero generale, nessun biennio rosso, niente di tutto questo: Francesco spiegherà che non stava bene. Certo nemmeno De Rossi era una rosa. Era tutto fasciato. E’ andato. Anzi sta ancora andando. E’ il 33’ del secondo tempo, De Rossi va. Altro che Berlino! vuoi mettere una Supercoppa di Lega con la Roma con un Mondiale? Non c’è un tifoso della Roma che non farebbe il cambio, ci caricherebbe sopra pure l’Europeo del ’68. De Rossi è un tifoso della Roma e va verso i suoi tifosi. Allo specchio. Il rigore si tira di fronte ai diecimila ultrà romanisti: lo sono anche se in quel momento non c’è uno di loro che non guardi il campo. Ci sono momenti che vanno oltre. Sono i momenti ultrà, appunto, e poi De Rossi è uno di loro. De Rossi continua a guardare la curva. Ce l’ha davanti, ce l’ha negli occhi, non può non farlo. Ce l’ha nel cuore, non può non farlo. E’ una scena che Daniele ha vissuto tante volte: lui di fronte al mare, di notte. E’ il momento che lo fa grande: tutti i più grandi calciatori della storia del calcio lo hanno vissuto. I calciatori sono marinai: hanno le gambe arcuate perché per piantarle bene al suolo sulle navi allargano le gambe e così fanno forza. George Best è cresciuto con l’irrequietezza del mare di Belfast, quelle onde nere e forti che sbattono come le pinte nei pub per la libertà: apposta la cercava. Eusebio ha l’eleganza di chi è nato a Maputo, con la schiuma bianca negli occhi, il tocco vellutato dell’oceano che coccola l’Africa all’oriente del mondo. Cristiano Ronaldo è nato a Funchal, nell’ultima isola del Portogallo, Figo sulla spiaggia opposta a Lisbona, agli estremi, ed è per questo che giocano larghi, sulle fasce. Ali. Perché soprattutto chi nasce in riva al mare sa volare: prima degli altri sa che oltre non si può più camminare. De Rossi di fronte ha diecimila cieli. Cruyff è stato il primo giocatore universale, in grado di far tutto, perché il mare ad Amsterdam non è abbandonato dalla città, ma fa parte degli scambi, del lavoro, della terra. Zidane ballava con il pallone la danza mai vista in Europa dei maghrebini, dei popoli una volta colonizzati ma ancora non realmente liberi, di chi ha lo sguardo malandrino e poetico di Diabolik perché è cresciuto con il peso di tutti i sapori forti che soltanto Marsiglia sa mischiare e tenere insieme sotto una suola delle scarpe. Romario, Zico e Ronaldo sono nati a Rio: hanno visto la risata dell’oceano, la sua faccia grassa, la sua carnevalata, ecco perché hanno vissuto di dribbling o di traiettorie impossibili: il loro calcio era una festa di Copacabana. Maradona e Pelé sono più grandi del posto dove sono nati: sono l’Argentina e il Brasile, due popoli che da sempre giocano il derby degli oceani.
Il mare è un destino. A De Rossi ha dato un appuntamento al 33’ del secondo tempo del 19 agosto, un rigore che vale una Coppa, a Milano, con Totti in campo. Daniele De Rossi va. E’ un momento che non ha vissuto mai. Non fa nemmeno in tempo a prendersi la valeriana come a Berlino, non si ricorda nemmeno che s’era mangiato quel pomeriggio anche se il 19 agosto è proprio il compleanno di Nanni Moretti (le merendine di quand’era bambino), ma al 33’ del secondo tempo tutto questo non conta piu. Va. A qualcuno può far venire in mente Charles Baudelaire: Uomo libero, amerai sempre il mare! Il mare è il tuo specchio: contempli la tua anima nel volgersi infinito dell’onda che rotola…
Nello scomporsi forsennato entusiasta di ventimila braccia che si dimenano contro le leghe lombarde sotto i mari. Frana, la curva frana. L’onda rotola su se stessa. Corpi portati via dalla corrente di non si sa quanti abbracci. E’ una Guernica della felicità la curva della Roma a San Siro, e De Rossi sta là sotto, con questo rigore ha già fatto per l’umanità molto più di Picasso. Il primo ad abbracciarlo è Aquilani, poi arriva Totti e capita la scena più bella e divertente di questa storia. Daniele e Francesco si abbracciano come stanno facendo i tifosi dietro di loro, poi De Rossi guarda Totti per dirgli chiaro chiaro, netto, cosa ne pensa del più grande dono mai fatto da un compagno a un altro, un assist persino superiore alla sostituzione dell’Olympiastadion: “Tacci tua!”. De core. Trilussa, Belli, la Magnani, Sordi, Boccaccio, Shakespeare… non avrebbero saputo riassumere meglio in una battuta, in due parole due (tacci tua) la romanità. Lontana è Milano dalla mia terra. Non avevo mai tirato un rigore con la Roma, devo tornare a un Roma-Triestina di Coppa Italia di almeno cinque anni fa, lì non era molto importante per il resto del mondo ma per me era come un Mondiale. Quando vai lì lo stato d’animo è lo stesso. Quando sono andato sul dischetto ho provato le stesse sensazioni di quella notte a Berlino. E’ stata una bella vittoria, credo meritata. Abbiamo dimostrato di essere una grande squadra e un grande gruppo. E’ un segnale che conta per la stagione che comincia. Un trionfo, lo stadio colorato di giallorosso, la palla che rotola in rete, il trofeo al cielo. E poi la Coppa Italia vinta poco più di un mese prima. Fotogrammi indimenticabili.
Fotogrammi che vanno dritti nella mostra della storia dei tifosi dellaRoma (non è un modo di dire, ma quella di Testaccio) scatti che ne seguono altri. Quell’estate la Roma ha festeggiato i suoi 80 anni e De Rossi all’Olimpico ha giocato una partita con Giacomo Losi, Carlo Ancelotti, Toninho Cerezo, Sebino Nela, Paulo Roberto Falcao… i suoi contemporanei. E li i tiri da lontano erano passaggi vicini, mentre Tosca cantava quella splendida canzone che “come un vecchio ritornello nessuno canta più”: Al di là dei miei ex compagni, giocare al fianco di Falcao, Cerezo, Giannini e Prohaska sarà una cosa divertente e piacevole. Come si dice a Roma, a questi campioni gli posso solo portare l’acqua con le orecchie. Agostino Di Bartolomei è il grande assente. Lui è la storia della Roma, come Dino Viola. Il mio domani l’ho già progettato e lo vedo solo a Roma. A Roma si può essere grandi anche senza vincere. Se poi raggiungi qualche traguardo, entri nella storia e non esistono paragoni.
In quella che si tramanda di padre in figlio, di generazione in generazione. Per festeggiare la Coppa Italia, nell’ultima di campionato col Messina i giocatori della Roma avevano fatto entrare in campo i loro bambini… “Ed entrare in campo con mia figlia Gaia non ha prezzo: nemmeno i Mondiali o la Coppa Italia con la Roma valgono tanto”. Quando il bambino era bambino entrò in campo mano nella mano col padre. E’ ancora la stessa storia, la Storia: La storia siamo noi padri e figli… La storia siamo noi queste onde del mare, questo rumore che rompe il silenzio, questo silenzio così duro da raccontare… Da “Il Mare di Roma”