(A.Austini) – Sono passati sei mesi abbondanti. E tutto è cambiato, capovolto. La Roma sogna in grande, la Lazio trema e non riesce più a godersi quella coccarda cucita sul petto a discapito dei «cugini».
Chi l’avrebbe mai detto che il 26 maggio sarebbe coinciso con la fine – almeno così sembra – di un gruppo che, oltre alla coppa Italia, ha sfiorato per due anni la Champions e l’inizio di una bella favola dopo due, anzi tre fallimenti consecutivi. I venti punti di distanza tra le romane racchiudono il senso del momento calcistico cittadino. Se gli sfottò sul web si sprecano – «quando avevo i punti tuoi andavo ancora al mare» il più gettonato dai romanisti – adesso è persino Rudi Garcia a infierire.
A distanza di tre mesi dal derby della svolta, il tecnico giallorosso ricorda che «quando è uscito il calendario i dirigenti erano distrutti dal fatto che la sfida con la Lazio fosse programmata alla 4ª giornata. Io – racconta – avevo la sensazione contraria. Per sbollire questo trauma, la cosa migliore era giocare subito contro di loro, batterli e passare a un’altra cosa». Ha avuto ragione, come gli capita di sovente da quando si è seduto sulla panchina italiana più difficile degli ultimi anni. La chiesa è tornata al centro del villaggio e non si può dare torto al francese neppure sul vero motivo della crisi biancoceleste: «Si sono gasati con la vittoria nella finale di Coppa Italia, ma hanno esagerato. Il minuto 71′, quello del gol decisivo di Lulic, è diventato il loro segno del comando. Lo festeggiano in ogni partita. Per me si tratta di scarsa ambizione».
Non sarà nato a Trastevere come Mazzone, non avrà lo spirito testaccino di Ranieri ma Garcia, come ha ammesso proprio dopo il derby vinto, ora si muove da romanista navigato. «Tre scudetti sono troppo poco rispetto a quello che rappresenta questa società – aggiunge al network australiano di SBS – spetta a noi cambiare. Sono qui non per battere dei record, ma per vincere dei titoli». Aspirante re di Roma, ma legatissimo alla sua Francia (come dimostrano le numerose interviste concesse ai media locali) che lo ha eletto per la seconda volta miglior allenatore dell’anno. Un riconoscimento di prestigio firmato «France Football» vinto davanti al ct Didier Deschamps. Glielo avevano già assegnato ai tempi del Lille, portato dall’anonimato al titolo. «Sono i risultati che contano. Forse per la Roma non arriveranno questa stagione, non siamo programmati per questo. Ma so che possiamo battere chiunque. E con questa squadra, posso andare lontano». L’inseguimento alla Juve è ripartito. «Per il momento va tutto bene e sicuramente il popolo romanista è più felice, ma dobbiamo rimanere coi piedi per terra. Una stagione non è un lungo fiume tranquillo, ci saranno momenti difficili. E quando arriveranno la forza del gruppo starà tutta nell’uscirne il più velocemente possibile».
La sua Roma lo ha appena fatto, mettendosi alle spalle l’apatia portata dai quattro pareggi di fila grazie al ritorno degli uomini chiave: l’imprendibile Gervinho, il bomber Destro e il carismatico Totti, pronto a passare dalla panchina dell’Olimpico al campo di San Siro. «È un campione – l’elogio di Rudi al capitano – che continua a scrivere la sua leggenda. Se fa parte di una generazione in estinzione ? È probabile che in futuro non ci saranno altri giocatori così perché lui ha conosciuto solo un club, il suo grande amore: la Roma. Spero possa ripetersi una cosa simile, ma non ne sono sicuro». Intanto Totti è tornato a divertirsi in una squadra votata all’attacco, ma con equilibrio. «Penso sia meglio prendere in mano il gioco – spiega ancora il tecnico – essere attori protagonisti, senza pensare solo a difendersi che per me è un limite. Per vincere le partite servono i gol, con 38 0-0 si va in serie B». La Roma di punti ne ha già 37, una media da scudetto. E non ha alcuna intenzione di fermarsi qui.