Se domenica sera, prima della partita, nel tunnel di un Olimpico ostile, l’Olimpico sbagliato, i lupi cercheranno con lo sguardo il più lupo di loro, quello sarà uno biondo, tutto barbuto e tatuato, una manica più lunga e una più corta. Maglia numero 16. Guarderanno Francesco Totti e si sentiranno calmi, fiduciosi, sicuri di sè. Guarderanno Daniele De Rossi e si sentiranno smaniosi di andare alla guerra.
Un anno prima, dopo un letale Juventus-Roma, aveva detto: «Chiunque parli di scudetto, fa il male della Roma». Quel chiunque era Zdenek Zeman.
Lo stesso di sempre, ma diviso in due. Straziato. Perché De Rossi soffre di vertigini parossistiche ogni volta che s’immagina lontano da Roma e dalla Roma. Gli è capitato spesso negli ultimi due anni. L’ultima volta no, niente vertigini. Non si è nemmeno immaginato.Settimana di Livorno-Roma, debutto di campionato. Il Manchester United presenta la sua offerta ufficiale, quindici milioni di euro. Avrebbe soprattutto rilevato l’intero ingaggio del giocatore, mal di pancia di molti dirigenti. De Rossi non ci ha pensato un attimo. Aveva già stretto il suo patto d’onore con Garcia, aveva “riconosciuto” compagni e tifosi.
Ma chi è De Rossi, detto DDR, una nazione al di là del calciatore? Un insieme di storie, di tumulti e di vene che scoppiano sotto la stessa pelle. Garcia l’ha inquadrato subito,«Daniele è un affettivo che pensa con il cuore, uno leale, duro e forte in campo». Walter Sabatini rinforza a modo suo il concetto: «Un uomo intelligente, di una sensibilità estrema, che non riesce a farsi scivolare nulla addosso, un groviglio mentale interessantissimo». De Rossi ha una vita interiore complicata. Sempre fosforica. Nel bene e nel male. Non erano i silenzi di Zeman a turbarlo, ma le sue parole. La ferita più sanguinosa? Quando il boemo li raccontò pubblicamente, lui e Osvaldo, come due lavativi e menefreghisti, «che pensano agli affari propri». Dove Osvaldo fu accostato a De Rossi solo per non farlo sembrare l’unico bersaglio. Ma, eccome se lo era. De Rossi ha bisogno di sentirsi amato.
Un episodio dal segreto dello spogliatoio. Un’amichevole della tournée americana. Fine partita. Uno dei giovani nuovi arrivati si lascia andare a un apprezzamento su un dribbling sbagliato da De Rossi. Daniele incassa, si fa la doccia, incrocia all’uscita il giovanotto e gli dice una sola frase davanti a tutti: «E tu, quando cominci con la Primavera?». Prima era solo, De Rossi (Totti è un leader di campo, scettico incallito pure lui, uno scettico meno complesso di Daniele, ma oggi è un altro che ci crede, eccome). Oggi si sono aggiunti prima Balza e poi Morgan (De Sanctis). E poi Benatia e Strootman. Chissà che un giorno non si debba andare tutti in pellegrinaggio alla mitica 512 del Visconti Palace a Milano, la stanza avvolta nel fumo. Dove Sabatini ha “chiuso” con Garcia, Benatia e l’agente di Strootman. Dove è nata la nuova Roma.
Dove sia invece rinato De Rossi lo sappiamo. A Trigoria nello sguardo azzurro e onesto di Garcia. Fuori Trigoria, nell’affetto di Gaia e Sara, figlia e compagna, le due donne che l’hanno portato oltre la banlieu della sua Ostia senza spostarlo da Ostia. In attesa della terza, che sta arrivando. De Rossi è tornato a casa. Questo conta. Più romanista che mai, anche e soprattutto quando gioca zoppo con un alluce in fiamme. Domenica sera, comunque vada a finire, ce lo racconterà, una volta di più.
Fonte: Corriere dello Sport