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DOPO PARTITA La lettura dell’incontro di Paolo Marcacci

Espulsione De Rossi

Innanzitutto, scomponiamo il quadro cronologico per annotare che al minuto 54 la Roma assume la fisionomia che la maggioranza avrebbe voluto sin dal fischio iniziale di Rizzoli: Torosidis a sinistra e Destro in campo, con Ljajic, Totti e Gervinho, anche se senza più Pjanic. Siamo già sotto di due, a quel punto: somma di ingenuità e concorsi di colpa evidenti. Tanto nell’occasione del vantaggio bianconero nel primo tempo, con il piroettare indisturbato di Tevez che in un fazzoletto riesce a inventare un corridoio per la sovrapposizione indisturbata di Vidal che ha tempo di scegliersi l’angolino; quanto al momento del raddoppio, con Bonucci che si smarca con agevolezza dopolavoristica e va a raccogliersi una Befana anticipata alle spalle di un De Sanctis incredulo, basito nello sguardo che rivolge a Castan e compagni.
E dire che la prima mezz’ora era stata da guscio e forchettina: Juve nella propria metà campo come un mollusco abbarbicato a protezione del vantaggio in classifica, Roma arrembante alla ricerca di spiragli che nascono dal piede di Totti e che Gervinho e Ljajic quasi rendono decisivi.
Che sia quel “quasi” l’unico particolare a mancare ancora all’appello affinché si possa parlare di una Roma non solo ambiziosa ma anche permanente al vertice? Certamente si, è quello il soldo che manca alla proverbiale lira delle velleità da scudetto.
Lo dimostra il fatto che la Juventus è stata scolastica, anche leggermente appannata in fase iniziale; sempre però spietata nel colpire ogni volta che la Roma – clamorosamente – ha prestato il fianco. Il fianco e i nervi, visto che De Rossi si sforbicia dal campo da solo e Castan prende a pugni la prestazione di stasera. Se Ljajic non li segue anzitempo sotto la doccia, è solo per il calcolo diplomatico di Rizzoli e del proverbiale buon senso.
Che dire? La partita della Roma è rimasta in embrione, il cinismo della Juve le ha impedito di farla crescere.
Meditare sugli errori: il passo obbligatorio di chi vuole diventare definitivamente grande.

Paolo Marcacci

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