(M.Cecchini) Tutto finisce solo quando finisce. Non prima, non se tutti masticano pronostici e pessimismo, non se dicono:«Ormai si gioca per il secondo posto».Probabilmente, uno che sa tutto questo è Gervais Lombe Yao Kouassi – al secolo calcistico Gervinho – visto che ha calpestato chilometri tra Beveren, Le Mans, Lilla e Arsenal prima di scoprire le morbidezze romaniste e diventarne con 6 reti (5 più una in Coppa Italia) il capocannoniere stagionale. A 27 anni, nel pieno di una maturità che ha all’orizzonte il Mondiale brasiliano, l’attaccante ha perciò forza e saggezza sufficienti per ringhiare a una Juventus lontana soltanto sei passi: «Noi non molliamo». E il suo parere non è uno qualsiasi, visto che solo martedì scorso la Vecchia Signora si è inchinata al suo tacco, che le ha infranto il proprio sogno di Coppa.
TUTTO APERTO «Il campionato si è riaperto – dice – e non solo per la Roma ma anche per il Napoli e altre squadre. Sono l’uomo delle speranze. D’altronde sono venuto alla Roma per aiutare i miei compagni e per avere degli obiettivi importanti. Devo dare una mano a ottenerli». L’inserimento nel gruppo è stato rapido, tant’è che anche gli altri marcatori di giornata, Ljajic e Totti, hanno espresso giudizi fantastici su di lui. «Sono contento che la squadra parli bene di me – aggiunge l’ivoriano -, ma sono importanti tutti quanti, a partire da Adem e Francesco che mi hanno fatto i complimenti. Senza di loro, non potrei fare quello che faccio».
NIENTE CALCOLI Correre è la specialità di Gervinho, ma l’attaccante frena con l’immaginazione. «Certo, è un gran momento per noi. Adesso siamo a 6 punti dalla Juve e 6 sopra il Napoli, siamo ancora in gioco, ma non è il caso di fare calcoli. Non dobbiamo guardare a cosa fanno le nostre avversarie, occorre pensare soltanto a vincere il più possibile ogni domenica». Al netto di una timidezza dovuta anche al fatto di non padroneggiare l’italiano, l’ivoriano ormai sembra essere un leader della squadra di Garcia, che in pratica lo ha tolto dalle rotazioni dandogli l’onore e l’onere di essere l’unico titolare sicuro del reparto offensivo. «Chiaramente sapevo che avrei avuto responsabilità con Garcia, ma le ho sempre avute. So che si pensa come per me sia più facile perché lo conosco, però in realtà non è vero. Lui giudica sempre ciò che faccio e so che devo lavorare duramente per giocare, anche se per me è importante avere la sua fiducia». Ripagata con i gol e con milioni di cuori giallorossi che, grazie a lui, battono più forte. D’altronde, il calcio a che serve se non a questo?