A volte fare confronti è inevitabile.
Prendiamo ad esempio la serata di ieri: con le migliori intenzioni, si fa per dire, abbiamo iniziato a “goderci” Napoli-Lazio. Dopo una ventina di minuti di azioni abbozzate, spezzettate, abortite sul nascere o scaturite da calci piazzati figli dei consueti falli tattici sistematici, il dito dello zapping ha iniziato a fare stretching. Non uno zapping casuale, ovviamente, ma calcisticamente orientato: la serata offriva la gara del Bayern a Stoccarda, l’Atletico Madrid che faceva visita al Bilbao, le sofferenze del Barcellona col Levante e una bella tranche di Premiere League, in cui faceva bella mostra di sé il match di White Hart Lane, dove il Tottenham ha ricevuto il Manchester City. Ebbene, una sbirciatina qui e là…
Dopo un po’, Napoli-Lazio era un pallido ricordo giallo-celeste, vista la scelta delle divise.
Personalmente, dopo che il City aveva cominciato a passeggiare sulle macerie di un Tottenham ridotto in dieci e preso a pallonate, ho optato per Stamford Bridge, dove il Chelsea di Mourinho non riusciva a scardinare la muraglia umana del West Ham, a dispetto di quote e pronostici.
Solito grande impatto scenico, gradinate traboccanti di braccia e cori, pioggerella gelida d’ordinanza, terreno in perfette condizioni.
Mourinho in piumino grigio, teso nel seguire gli assalti reiterati dei suoi. Gli hammers, a dirla tutta, hanno esibito un qualcosa che andava oltre il catenaccio, una rivisitazione abbottonata degli spartiti cari a Rocco ed Herrera.
Possibile, allora, che fosse preferibile al quarto di finale del San Paolo?
Possibile, si, pur considerando lo 0-0 finale che rallenta la marcia dei Blues. Possibile perché da una partita che ha visto la squadra in trasferta raccogliersi spesso in otto/nove undicesimi all’interno dell’area piccola, abbiamo appreso comunque qualche insegnamento. Per esempio, abbiamo visto un arbitro come Neil Swarbrick, certamente non un fuoriclasse del fischietto, non cedere di un millimetro – a livello di sudditanza psicologica- alle pressioni dialettiche di John Terry che lo avvicinava ogni trenta seconda per far sentire tutto il suo carisma e la sua leadership. Come si sarebbe comportato un direttore di gara italiano, magari dei più giovani?
Abbiamo poi ammirato la spinta incessante del pubblico di casa e quella veemente dello spicchio del settore ospiti, inorgoglito dalla resistenza dei suoi. Abbiamo visto una sostanziale correttezza pur col crescere della tensione per la ricerca dei divergenti obiettivi: continuare la corsa al titolo per il Chelsea, coltivare la speranza di un prestigioso punto salvezza per il West Ham.
Senza per forza voler ostentare un atteggiamento esterofilo che sarebbe tipico del nostro provincialismo, viene da chiedersi: impareremo mai?
Nell’attesa di una risposta, prendiamo atto del fatto che il nostro calcio sta per riprendersi uno come Osvaldo.