Si gioca al gatto col topo. Troppo, per chi conosce la storia della Roma. Anche dopo il goal di Nainggolan, che resta uno anche dopo una serie di spazi dove Gervinho entra come una lama nel burro per incartare – e incartarsi – la palla ad avversari e compagni.
La Roma comincia con le corsie esterne a metà tra il vintage e la linea verdissima: Taddei e Romagnoli, necessità e virtù sui binari dove in troppi – promemoria per Sabatini – hanno marcato visita e dove a giugno si dovrà intervenire. Strootman seduto a rifiatare e Nainggolan mastro di chiavi nella linea mediana: accorcia e distende, interdice e si presenta alla conclusione – nelle prime due occasioni con esiti disastrosi -, firma lo zero a uno con inserimento magistrale su palla di marzapane uscita dallo scrigno di Pjanic.
Prologo a una passeggiata con tortellino finale? Se uno desse retta al predominio territoriale e alla sequenza delle conclusioni, non potrebbe pensare che questo. Se invece si aspetta il trascorrere dei minuti, si palesano i timori non per la qualità di ciò che produce il Bologna ma per l’intensità che negli uomini di Ballardini cresce in misura inversamente proporzionale alla rilassatezza della Roma. Bianchi, Cristaldo e poi pure la barba di Moscardelli sono volenterosi ma prevedibili, però il mancato arrivo del secondo goal trasmette nervosismo, che aumenta con l’ingresso di Ljajic per Florenzi che ha giocato un buon numero di minuti sul dolore. Poi Bastos per Destro e Strootman per Pjanic, cambio di trazione ma cinismo che non aumenta. Tre i minuti di recupero, come i punti che arrivano dopo lo spavento finale su capocciata di Lazaros. Poi ne riparliamo, perché si poteva stare molto, molto più tranquilli.
Paolo Marcacci