(M.Malfitano) – Sentirsi unico, inconsapevolmente. Soltanto perché un’intera città lo pensa, convinta com’è che uno come lui possa nuovamente cambiare la storia, invertire la tendenza e restituire alla sua gente l’emozione del successo, delle conquiste. Lo scudetto, per esempio, oppure l’Europa League e, perché no?, anche la Coppa Italia che resta l’obbiettivo più alla portata: se dovesse battere la Roma, il Napoli giocherà la finale in programma il 3 maggio, all’Olimpico. Le qualità diGonzalo Higuain sono infinite, consentono alla mente di spaziare, di accostare la realtà a quel ciclo vincente che ha caratterizzato la storia del club dalla metà degli anni ’80 fino al secondo scudetto, conquistato a maggio del ‘90. Momenti di grande esaltazione, che hanno avuto in Diego Maradona il protagonista assoluto, il grande fuoriclasse che ha spezzato l’egemonia del nord, restituendo prestigio, sociale e sportivo, al meridione. Non ha l’immensa classe ed i numeri dell’ex Pibe de oro, il Pipita, ma sul piano emozionale sa essere un grande trascinatore anzi, il trascinatore, perché intorno a lui De Laurentiis e Benitez hanno avviato la fase più importante del progetto, quella delle conquiste, dopo un terzo e un secondo posto. «Questo è un momento importante per me e per la mia carriera. Da otto anni gioco ad alti livelli, mi sento bene fisicamente e con l’ambiente il rapporto è ottimo, così come coi compagni di squadra. Manca ancora tanto per finire la stagione. Speriamo di vincere qualcosa, ci crediamo ci sono tre titoli in gioco, sappiamo che è difficile ma abbiamo tanta voglia di sorprendere».
Scusi, Higuain, ma lei accenna a tre titoli, pare di capire che nei suoi pensieri ci sia pure lo scudetto?
«Certo, fino a quando l’aritmetica non darà certezze, siamo in gioco, come la Roma d’altra parte. È difficile, lo sappiamo. La Juve è lontana 13 punti e, quindi, continueremo a puntare la Roma per il secondo posto, sperando che qualcosa possa avvenire».
Le illusioni di inizio stagione sono state spazzate via dalla Juventus, il cui rendimento ha conosciuto poche pause. L’euforia estiva è stata contagiosa, ha convinto De Laurentiis, Benitez e qualche giocatore a parlare di scudetto. La realtà, in ogni modo, dice ben altro, adesso: è deluso?
«Quando parlai di scudetto è perché ci credevo. E, francamente, dentro di me, ci credo ancora adesso. La Juve gioca insieme da tre anni, ha cambiato solo i due attaccanti. Qui è tutto nuovo, modulo, allenatore e giocatori. Quando si inizia un progetto nuovo è tutto più difficile paghiamo i 10 punti persi con le piccole, contro quelle squadre che giocano molto chiuse ed è difficile trovare spazi. A volte c’è capitato di affrontare difese schierate a cinque, mentre il vero calcio prevede al massimo quattro difensori. Certo, qualcosa ce l’abbiamo messo anche noi: se non avessimo commesso certi errori, saremmo stati ad un passo dalla Juve, adesso».
Dopo l’era Maradona, il Napoli non ha più vinto se non la coppa Italia, due anni fa. Prima, c’è stato un periodo di grande sofferenza, con il fallimento e la ripartenza dalla serie C. Un cammino difficile, giocando sui campi di provincia, in un calcio che non era mai appartenuto a questa città. Poi, le promozioni in due anni per arrivare ad oggi. Lo sa che, adesso, i tifosi hanno puntato tutto su di lei per tornare protagonisti assoluti?
«Io non avverto il peso di questa responsabilità. Anzi, voglio fare come Maradona: vincerò prima il Mondiale e poi lo scudetto, proprio come fece lui, trionfò in Messico, con l’Argentina nell’86 e, un anno dopo, fece impazzire Napoli. Ecco, se riuscissi a coronare questo sogno sarebbe veramente il massimo».
Napoli gli è proprio entrata dentro, tra lei è la città c’è un rapporto straordinario. Nello spazio di un paio di settimane è riuscito a cancellare dalla mente dei tifosi il ricordo di Edinson Cavani. Nemmeno quando s’è dovuto fermare per infortunio la gente le ha fatto mancare l’affetto. E pensare che nella scorsa estate è stato ad un passo dall’accordarsi con la Juve: se lo immagina lo sgarbo che avrebbe fatto ai napoletani?
«I dirigenti bianconeri parlarono con la mia famiglia, ma devo dire che l’azione di Aurelio De Laurentiis fu determinata. Contemporaneamente all’offerta arrivò anche la telefonata di Benitez che mi convinse in un niente, con la bontà del suo progetto. E dopo averne parlato con mio padre, decisi di lasciar perdere le altre proposte e di accettare quella del Napoli. Pensai che sarebbe stata una buona opportunità sostituire Cavani. Ed eccomi qui».
A proposito di Cavani: non le pesa il raffronto continuo a cui è sottoposto ogni qualvolta le viene male una partita?
«No, non ci penso affatto. Io sono qui per crescere e per aiutare la squadra a vincere. I miei rapporti con il club sono eccellenti. Sul piano personale, poi, sono convinto di poter fare ancora meglio».
Diciassette gol in stagione, finora, dei quali 12 in campionato, 4 in Champions League ed uno in Coppa Italia. La classifica dei marcatori è corta e Pepito Rossi che la guida (14 reti, n.d.r.) starà fermo ancora a lungo per infortunio. Dica la verità, il pensiero di vincerla questa classifica l’ha fatto?
«È un obbiettivo, anche se l’idea non mi fa impazzire, preferisco vincere lo scudetto o qualche coppa. Però, se dovessi riuscirci, sul piano personale, sarei contento eccome».
Lo sa che le sue lacrime dopo l’eliminazione dalla Champions League l’hanno imposta nei sentimenti della gente? Quella sera la commozione si diffuse in tutto il San Paolo, come la delusione per una qualificazione che il Napoli avrebbe meritato, a prescindere, per l’ottimo rendimento avuto.
«Piansi di rabbia, l’ammetto, ero così dispiaciuto che mi sentivo crepare dentro. Dopo, a bocce ferme, mi sono convinto che di più non avremmo potuto fare contro Arsenal e Borussia Dortmund. Il nostro è stato il girone della morte ».
Anche Balotelli ha pianto, mentre lei, con le sue prodezze, stava mortificando il Milan, sabato sera.
«Non conosco i motivi delle sue lacrime. Mario è un ragazzo adorabile, uno tra i più forti, il calcio italiano ha bisogno di lui. Sarebbe meglio se venisse lasciato più tranquillo».
Tra quattro mesi comincerà il Mondiale, un periodo più o meno breve. Lei sarà tra i convocati di Sabella, mentre è a serio rischio Tevez, nonostante stia facendo bene con la Juve. Conte lo considera inamovibile e, finora, ha realizzato già 13 reti, una in più delle sue: teme la concorrenza?
«Carlos sta giocando alla grande, ma certi pensieri sono solo del commissario tecnico. Io posso soltanto guardare a me stesso, consapevole che meglio faccio col Napoli e più possibilità avrò di andare in Brasile».
L’attualità impone un’accelerata, stasera dovrete battere la Roma per conquistare la finale di Coppa Italia: quante possibilità dà al suo Napoli di centrare l’obbiettivo?
«Sappiamo tutti che si tratta di una partita importantissima, ma io voglio vincere le Coppa Italia e quella di domani sera (stasera,n.d.r.) sarà la vera finale, considerato il valore e la classifica delle due squadre. Poi penseremo all’Europa League. All’Olimpico, nella gara d’andata, abbiamo dimostrato carattere, ma non è servito ad evitare la sconfitta. Devo solo stare attento a non farmi ammonire, perché sono diffidato e in caso di vittoria rischierei di non giocare la finale. Mi toccherà gestire il carico di adrenalina che mi assale quando gioco gare del genere».
Napoli l’ha stregata, dunque?
«Tanto, anche se esco poco, preferisco starmene in casa. Quando vado in giro, però, l’affetto della gente mi sommerge. Il napoletano assomiglia molto a noi argentini, il modo di vivere è lo stesso. Poi, il feeling è ancora più particolare per via di Maradona e di quello che ha fatto qui. Non c’è momento della giornata che qualcuno non mi parli di Diego. Ciò mi fa capire quanto sia ancora presente il suo ricordo tra la gente».
Possiamo concludere, quindi, dicendo che il suo futuro sarà a Napoli, a prescindere?
«Assolutamente si, a prescindere. Ho un contratto di altri quattro anni e qui ci sto da re».