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GAZZETTA DELLO SPORT Spalti chiusi e norme da rivedere. Ma i cori odiosi non sono un gioco

Stadio Olimpico

(V.Piccioni) – Dopo le curve, i distinti. Somigliano a un viaggio verso il deserto le disavventure dello stadio Olimpico, versione giallorossa, svuotato dalle sanzioni della giustizia sportiva per i cori di «discriminazione territoriale».

E’ evidente che l’inasprimento delle pene in questo campo — la legge sportiva già c’era —, stia diventando più amplificatore, vedi la«solidarietà » con cui domenica gli urlatori della curva hanno trovato «supplenti» nei distinti e in parte addirittura in tribuna Monte Mario, che deterrente. Su questo si può e si deve riflettere. Pensandola nei modi più svariati: anche che siamo di fronte a norme inefficaci e inutili. O giudicarle ingiuste perché le urla razziste di alcuni (chi intona i cori) ledono un diritto di altri (chi non li ha intonati e la volta dopo non può andare allo stadio).

Ma da dove siamo partiti? A volte si ha quasi la sensazione che la norma sia il problema, quasi a credere che senza la norma il problema non esisterebbe. Dunque gridare «Vesuvio lavali col fuoco» sarebbe una provocazione, un gioco di ripicche da superare facendo finta di niente. In fondo, è l’alibi, certe frasi si sono sempre ascoltate. Dietro questa posizione c’è tanta rassegnazione, il tentativo di autoconvincersi che l’insulto sia innocua normalità. Che il calcio sia fatto così, bellezza: se non ti sta bene vattene a vedere il rugby (e in molti, per la verità, ascoltano il consiglio) o quello che ti pare. Ma siamo sicuri che quegli insulti razzisti non c’entrino niente con il fatto che tanti italiani vedano sempre più lo stadio come un luogo pericoloso da cui restare alla larga? Ritenere che le norme attuali siano sbagliate è un’opinione su cui ci si deve confrontare. Pensare che ascoltare «Vesuvio lavali con il fuoco» sia un fisiologico pedaggio da pagare o un’innocua abitudine, un’assurdità.

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