(M. Bianchini) Uno fra i più importanti fondamenti sanciti dallo Statuto della FIGC è rappresentato dalla nota clausola compromissoria che recita testualmente: “All’atto del tesseramento, i tesserati rinunciano ad adire la giustizia ordinaria per tutte le controversie inerenti all’attività sportiva, rimettendosi al giudizio degli organi competenti della federazione stessa (giudice sportivo)”. Si tratta di un accordo che pur contrastando con i principi giuridici, è stato sempre tacitamente accettato dal mondo dello sport il quale per la sua natura proba e leale, forse non ha mai contemplato situazioni che potessero tradire lo spirito dell’intesa. A prima vista sembra entrarci assai poco con la scottante attualità delle curve chiuse. Ma dietro l’apparenza si scopre un filo che conduce dritto ad una stretta connessione. E’ noto quanto prema alla Roma la vicinanza dei propri tifosi, sottolineata dagli stessi Baldissoni e Totti che li considerano parte integrante del meraviglioso cammino della squadra.
La società è impegnata in continue battaglie a colpi di ricorsi contro l’iniqua norma che impone il desolante deserto sugli spalti. L’incolpevole maggioranza degli appassionati, segue trepidante ogni mossa dei legali giallorossi per conoscere se potranno esercitare il sacrosanto diritto di assistere a Roma-Inter senza trovarsi respinti dai cancelli sbarrati. Mortificato dalla sconsiderata imposizione, il tifoso si chiede da tempo perché venga permesso di offendere il più elementare diritto alla libertà sancito dalla Costituzione italiana. La replica che nel caso specifico ha un sapore canzonatorio, è scritta proprio nella clausola compromissoria che vieta alla società di adire la giustizia ordinaria. Una sede in cui forse basterebbero pochi minuti a far valere le proprie legittime ragioni, vanificate dai tribunali sportivi. Il non tesserato tifoso diventa così un fuscello in balìa degli umori che colpiscono le curve “blasfeme” facendo di tutt’erba un fascio. Essi gli impediscono di appellarsi alle leggi dello Stato attraverso la società vincolata alla clausola compromissoria, che diviene di fatto indiretta vessatrice della gente retta.
Viene quindi ad innescarsi un cortocircuito in cui ci lascia le penne soltanto l’ignaro sbandieratore di un innocente stendardo. E se cominciassimo a dire che la norma del compromesso viene disattesa dallo stesso “palazzo”? Esso per primo avrebbe dovuto dare il buon esempio a consolidarne la legittimità, evitando di approfittarsene con l’uso perfido di norme che colpiscono una società e di conseguenza la sua tifoseria. Con la decisione di chiudere le curve, reiterata nelle sedi di appello, la giustizia sportiva, “culo e camicia” con la stanza dei bottoni, ha mostrato tutta la sua desolante dipendenza. Basterebbe rileggere le dichiarazioni dei massimi esponenti del governo calcistico i quali continuano a criticare la norma inventata da loro stessi quasi a voler distinguersi dal “cattivone” giudice sportivo. Signori, a che gioco stiamo giocando? Nel rispetto del buonsenso, si sarebbe potuto sfruttare almeno la scappatoia del giudice d’appello per dare alla gente un segnale di coerenza in attesa di una radicale modifica, data per scontata, della regola contraria a qualsiasi criterio giuridico. Invece una persistente permalosità dal tono infantile (o peggio?) ha toccato l’apice dello sconcerto, non riuscendo neppure ad interpretare nella giusta maniera i cori dell’ironia.
E’ troppo. Quest’ultimo provvedimento ha tutta l’aria di una persecuzione “chirurgica” che si va perpetrando ai danni della Roma, intrusa inaspettata venuta ad insidiare i poteri forti, beffardamente tenuta freno dalla “solenne” clausola compromissoria. Uno non vorrebbe mai parlare di congiura. Però non è facile allontanare il ronzio nella mente riassunto dalla famosa frase di un vecchio personaggio della politica: “Pensare male è peccato, ma spesso ci si indovina”.