(T. Cagnucci) «… E tutti che impazziscono e in quei minuti che seguono tu sei al centro del mondo, e il fatto che per te è così importante, che il casino che hai fatto è stato un elemento cruciale in tutto questo, rende la cosa speciale perché sei stato decisivo come e quanto i giocatori, e se tu non ci fossi stato a chi fregherebbe niente del calcio?». Già a chi? È l’unica domanda che ti resta in bocca sul 3-0 della Roma alla Sampdoria perché per il resto sono arrivate tutte le risposte.
Tre a zero Roma-Sampdoria è sempre un bel risultato per chi si ricorda tutto di Roma. Perché la Roma bisogna ricordarsela e bisogna ricordarsi che Destro è una pippa, che non segna mai, che c’è bisogno di Osvaldo, o di uno alto grosso e cattivo, un omaccione; che Pjanic è una sega, che non è mai decisivo, che pensa alla Bosnia, che probabilmente a Napoli s’è vista la prima crepa nel rapporto fra Garcia e i giocatori, perché probabilmente i giocatori non lo seguono più; che il campionato è finito perché la Juventus ieri pomeriggio per gli utenti-clienti della repubblica televisiva itagliana stava 12 punti sopra e mica contava che la Roma avrebbe giocato la sera e adesso che stiamo a- 9. Mica conta che ne devi giocare un’altra col Parma?
E’ tutto già chiuso, confezionato, celebrato: il campione è sempre lo stesso, quello che vuole la Nazione della Televisione. E poi, sempre per ricordare queste giornate amare (lascia stare…), come non parlare di De Rossi?! Capirai De Rossi, so tre anni che non gioca, quest’anno è il quarto, c’ha fatto perde tutte le partite, e con tutti quei soldi che guadagna è facile fa il romanista, magari s’atteggia pure… Eh no. No però qui non si scherza. Di fronte al sentimento ti devi arrestare. Io credo fermamente che De Rossi non abbia giocato dall’inizio perché non poteva farlo: la Curva Sud ieri non c’era e lui è la Curva Sud in campo, non ci poteva stare… S’è messo lì a guardare e a vedere tutte le risposte che venivano date, quelle che azzittiscono chi ci vuole male: i 6 gol in 9 partite di Destro, le bellezze d’arte varia di Pjanic, la grinta di Garcia, la sua stizza davanti alle tv che è un’eco di quel «Roma mia» pronunciato in conferenza, una squadra che (virtualmente) dimezza i 12 punti dalla Juve in un quarto d’ora, che alla Samp ha fatto la testa tanta, al Verona pure e alla Lazio anche, anche se non è riuscito a segnarle, tre squadre incontrate nel girone di ritorno dalla Juve che in tutte e tre le occasioni ne è uscita peggio, anche molto peggio.
Nella serata delle risposte, però, c’era però una domanda che restava intatta: che senso ha tutto questo? Che senso ha tutto questo se non c’è la gente? Che senso ha il calcio senza le persone? Che senso ha lo sport, il pallone, qualunque cosa senza la passione? Che senso ha sentire ancora a sera in diretta Rai parlare e straparlare di cori, discriminazione e di razzismo quando qui si tratta di tutt’altro, di qualcosa che hanno persino paura a nominare e che ha a che fare con un sentimento? Che non è un eccesso, che non è un errore. E’ sempre quel ritornello da Febbre a 90° che ogni tifoso ha dentro: «… E tutti che impazziscono e in quei minuti che seguono tu sei al centro del mondo, e il fatto che per te è così importante, che il casino che hai fatto è stato un elemento cruciale in tutto questo, rende la cosa speciale perché sei stato decisivo come e quanto i giocatori, e se tu non ci fossi stato a chi fregherebbe niente del calcio?». Già a chi? Ieri sera a fine partita è arrivata anche questa risposta: non ai giocatori della Roma. Perché i giocatori della Roma hanno dimostrato ieri che a loro interessa solo la Roma, ma non per il 3-0, per le risposte particolari a tutti gli “emendamenti” dopo Napoli-Roma, ma per quell’abbraccio mai visto, letteralmente mai visto, ai suoi tifosi. Un amplesso invisibile. Perché tutte quelle risposte sono arrivate solo perché alla fine è arrivata quella più grande. In un’impossibile retroattività, e se non ci credete chissenefrega.
Perché nel frattempo De Rossi è entrato e ha preso la squadra per mano e l’ha portata sotto la Sud e sotto la Nord, perché una vita senza curva è piatta, perché il calcio senza tifosi non è niente, perché la Roma o è nella sua gente o non è niente. La Roma è un sentimento, la Roma sono i suoi tifosi. Ieri fosse stato ancora vivo Carmelo Bene avrebbe sorriso a vedere una catena umana di una ventina di persone che si prendono per mano e vanno a esultare, a salutare il vuoto: un trattato sull’assenza, sull’essenza dell’assenza e così via fino a divertirsi a sentirlo. L’essenziale continua a essere invisibile agli occhi. Ma c’è. C’è e non se ne andrà. Sono i fantasmi del Palazzo, della burocrazia, della stupidità. Chi è della Roma invece ieri s’è sentito presente soprattutto in quel gesto, ha vinto lì, più della bella doppietta di Destro e della carezza in uno schiaffo su punizione di Pjanic. Ha ritrovato l’unico senso, riempito il vuoto, dato voce al silenzio: miracoli che possono fare soltanto i filosofi, i poeti e i tifosi. Prendete in giro, chiudete le curve, tesserate la passione tanto lo fate proprio per questo: perché non siete capaci d’altro, perché non capite, perché soltanto una cosa sfugge al controllo, solo una cosa non potete tesserare, solo una cosa ancora non riuscite a vietare, da queste parti si confonde spesso con la Roma: si chiama amore.