(M. Gasparri) – Papá laziale mi ha accompagnato allo stadio fin da bambino. Sono 50 anni che frequento l’Olimpico, in ogni settore. A lungo in curva ai tempi dello Roma Junior Club, la tessera rilasciata ai ragazzi negli anni Settanta per l’acquisto del biglietto con un piccolo sconto. Di derby ne ho visti a decine. Anche di noiosi finiti zero a zero. Da romanista l’umiliazione piú cocente la subii negli anni Novanta, quando ai due derby di campionato si aggiunsero due sfide dirette in Coppa Italia e la Roma perse in una stessa stagione tutte e quattro le partite. Solo la successiva conquista dello scudetto nel 2001 riscattò l’onore giallorosso. La volta più sconcertante fu quella della serata, non lontana, del derby non disputato per le minacce di alcuni spettatori.
Ma anche il ricordo di vittorie, prese in giro, attese di rivincita. Ho visto cose che voi umani nemmeno immaginate. Manfredini alla guida dell’attacco all’alba degli anni Sessanta, Fabio Enzo fare ostruzionismo inutile al portiere avversario, discese volanti di Conti, Chierico e Nela, e Pruzzo o Voeller scuotere le porte avversarie. La fugace ma vittoriosa ascesa di Batistuta sui Colli fatali. E prima ancora il ridicolo colbacco di Giagnoni, le collette di Lorenzo, le imprecazioni di Oronzo Pugliese, l’era del mago Herrera. E poi grandi protagonisti come il Barone Liedholm e Capello. E tutti quei momenti non vanno certo persi nella pioggia o sotto il sole. Doveroso l’appello a far prevalere lo scherno sull’aggressività, l’esibizione di goliardici striscioni alle violenze (come dimenticare l’orrendo omicidio con un razzo).
Mo c’avemo pure gl’americani (qui ci vorrebbero le immagini di Nando Mericoni ovvero Alberto Sordi di “Un americano a roma” che con la radio trasmittente invoca “pronto America me senti?”). Ma ce vonno li romani come Totti e De Rossi pe’ risorve ‘a questione. Semo o non semo Roma Caput Mundi?