(T. Cagnucci) – E’ dentro partite che sembrano poco importanti che a volte ci trovi le storie più belle. E le storie più belle sono quasi sempre quelle poco raccontate. Il Maestro Giovanni Lindo Ferretti cantava che “le insegne luminose attirano gli allocchi” ed è vero, perché i tesori più preziosi non luccicano, i sentimenti più profondi fanno fatica a venire su. A volte devono stare dove stanno per sempre. Non faranno mai moda.
Poi capita che c’è un Chievo-Roma, che rigiochi un’altra volta, e magari hai quel mezzo ritmo-partita in più, oltre alla tua enorme esperienza e la tua più grande professionalità, e allora fai la partita più bella e così naturalmente ti vengono fuori le parole. Come una Canzone per te.«Voglio rimanere anche giocando poco, ma non voglio essere un peso per la società, per i tifosi e per i compagni, sennò non è bello. Io ho la Roma in fondo al cuore».
Semplicemente così. Alla fine, perché evidentemente per Rodrigo Taddei la fine di una partita è sempre stato l’inizio di qualcos’altro che fa rima con serietà se sono nove stagioni che è sempre pronto, che dice sempre sì, senza remore, senza paure, senza polemiche, persino con un sorriso che – è questo il miracolo – non solo è pieno e non accennato, ma autentico, come quel suo faccione non bellissimo, però vero.
La verità di una carriera onesta. La verità dell’umiltà. La forza delle storie a lato. Il senso di una panchina. Il significato di una squadra. La bellezza di una rosa. Il valore della quotidianità. E’ tutta questa eco che va sentita da quelle poche parole che svelano e contemporaneamente nascondono dieci anni di serietà. E’ l’eco di duemila voci che ieri per tutto il tempo hanno cantato la stessa cosa: «…Ho la Roma in fondo al cuore». E’ dentro partite che sembrano poco importanti che a volte ci trovi le storie più belle. Anche perché non esistono partite poco importanti. E soprattutto non esiste una storia più bella di quella della Roma.