Riflettiamo, un po’ a tempo perso, sulle parole: codice etico.
Due cose che dovrebbero essere uguali per tutti, anzi: di fronte alle quali tutti dovrebbero essere uguali.
Non avremmo voglia di parlare di Prandelli, se non fosse che la tempistica delle sue parole sul pugno di De Rossi a Icardi fa porta a sospettare che il CT abbia quantomeno indirizzato o, se preferite, stimolato le decisioni del prode Tosel.
In più, Prandelli è lo stesso commissario tecnico secondo l’opinione del quale un plurirecidivo come Balotelli, tuttora ineducato e al momento ineducabile, ha bisogno più d’amore che di strigliate…
Intendiamoci: De Rossi non solo ha sbagliato ma ha anche l’aggravante di non essere nuovo a certi gesti e di sapere bene che tipo di grancassa mediatica si scateni ogni volta che lui cade in certe provocazioni, come quelle che il fastidioso Icardi deve aver messo in atto sabato scorso all’Olimpico. Quello che noi condanniamo è il tono da tribunale popolare che è scattato immediatamente, complice Sky, a partita in corso e che Prandelli, in altre occasioni particolarmente votato a ridimensionare e a normalizzare gli episodi di cui si rendono protagonisti in negativo i suoi azzurri, ha suffragato con una durezza dialettica che non gli è usuale. Non dovrebbe De Rossi, a rigor di logica e di gerarchia, essere uno dei fedelissimi e dei protetti del CT?
Non è in discussione la mancata convocazione per l’amichevole contro la Spagna: è in discussione la condanna senza appello, sotto la lente d’ingrandimento di Panucci & co, che non abbiamo mai visto esibire in altre occasioni.
Che chi sbaglia deve pagare è un principio sacrosanto – magari trovasse sempre applicazione – ma la moneta dovrebbe essere sempre la stessa. In Italia, non solo nel calcio, così non è.