(Corriere della Sera) – Una mattinata al Corriere della Sera. Cesare Prandelli è elegante, sorridente, disponibile. Tra due settimane dovrà scegliere la lista dei trenta azzurri, tra un mese i 23 che andranno in Brasile e tra 45 giorni debutterà contro l’Inghilterra a Manaus (14 giugno). È il momento delle scelte e lui è pronto. Il c.t. dice tutto ciò che può dire: racconta le sue impressioni su Balotelli e Cassano, i timori su Rossi, la felicità per la crescita esponenziale dei giovani, soprattutto gli attaccanti, Destro e Immobile. Sensazioni ed emozioni, alla vigilia del suo primo Mondiale.
Signor Prandelli rispetto alla vigilia dell’Europeo, è più o meno ottimista?
«Chi fa il mestiere dell’allenatore deve sempre guardare gli aspetti positivi. Stavolta siamo più convinti di allora: in Brasile possiamo fare bene».
Anche se Balotelli, il giocatore più atteso, lascia a desiderare sia sul piano tattico che comportamentale. Seedorf dice che è migliorato, i fatti dimostrerebbero il contrario…
«Posso condividere il pensiero di Clarence quando dice che Mario non alza più le mani per protestare e non si lascia andare a falli di reazione. Un salto in avanti. Poi però c’è da capire perché, dopo la partita di Roma, si è assunto la responsabilità di parlare. Per me poteva farne a meno. I giocatori devono cercare di avere rispetto per tutti quelli che lavorano. Se sei sempre aggressivo, tutto diventa maledettamente complicato. I giocatori, non solo Balotelli, dovrebbero arrivare alla partita con la massima determinazione, ma al tempo stesso con grande serenità».
Balotelli è un punto fermo della nazionale anche dopo questa stagione contraddittoria?
«La storia azzurra di Mario è semplice: non è mai stato titolare fisso. È sempre stato necessario stimolarlo e poi, quando è entrato, lo ha fatto con il piglio giusto. Pensando ad un Mondiale difficile e dispendioso come quello in Brasile, sono sempre più convinto che nessuno può pensare di essere titolare in tutte le partite».
Ci spieghi meglio la sua idea.
«Non ci saranno inamovibili: perché, di volta in volta, dobbiamo capire come affrontare gli avversari e perché dopo la Confederations sappiamo cosa vuole dire giocare ogni quattro giorni. Mi aspetto grande concorrenza e ragazzi che pensano alla maglia azzurra 24 ore al giorno. Voglio partire senza problemi. Chi ne ha, o pensa a se stesso, resterà a casa».
Balotelli, da prima punta, ha stentato sia nel Milan sia in nazionale. Sta studiando qualcosa di diverso in questo senso?
«Mario in azzurro ha segnato 14 reti, che non sono poche. Chi ha la sua sensibilità deve stare vicino alla porta. Poi studieremo altre soluzioni».
Ma esiste un piano B?
«Anche un piano C, se è per questo. Dobbiamo avere tante facce e saper cambiare, anche a partita in corsa. Lo dico e lo ripeto da mesi: non siamo i più bravi, ma aguzzando l’ingegno possiamo vincere con i più bravi».
La sensazione è che, rispetto alla vigilia degli Europei, specialmente in attacco, la situazione sia più complessa…
«Sono contento di avere dei dubbi, due anni fa ce n’erano pochi. Stavolta sono di più ed è meglio. Se un c.t. può scegliere tra 8-9 giocatori vuol dire che c’è un progetto tecnico. Qualche mese fa andava peggio perché i ragazzi non crescevano. Invece, in questo ultimo periodo, Destro e Immobile sono usciti dal guscio e hanno dato risposte confortanti. I giovani sono una risorsa, non un timore. Cabrini e Rossi nel ‘78 erano esordienti e in Argentina sono stati protagonisti. Niente paura».
Lei ha sempre detto che sarà un Mondiale per atleti: come sono andati i test fisici?
«I risultati sono, più o meno, in linea con quelli dell’anno scorso e di due anni fa. Il vantaggio e per questo ringrazio la Lega è che dal raduno di Coverciano in avanti possiamo realizzare un programma personalizzato. Adesso sappiamo che cosa fare, in passato dovevamo aspettare».
Che cosa c’entra Cassano con un Mondiale per atleti?
«L’idea di vederlo correre come un centrocampista è difficile, però nel Parma sta dimostrando buona continuità e la qualità non è in discussione. Poi andremo a confrontarci con chi dovrebbe stare a casa al suo posto e vedremo. Niente è definito».
Ma Antonio aveva perso la nazionale anche per problemi comportamentali.
«Non è questa la questione. Se l’ho richiamato è perché pensiamo che possa essere un giocatore importante, magari decisivo per mezz’ora. Lui sa far girare bene la squadra. Inoltre, con Donadoni non ha giocato sempre sugli esterni, ma ha fatto anche il finto centravanti…».
E Giuseppe Rossi?
«Lo aspettiamo e lo aspetteremo, è un ragazzo eccezionale, ma il tempo stringe…».
Totti e Toni: la vecchia guardia è fuori?
«Sono due campioni e non vorrei liquidarli con poche battute. Diciamo che se dovessi fronteggiare un’emergenza, saprei chi andare a prendere».
A proposito di vecchietti, Buffon e Pirlo sono insostituibili…
«Quando ci sono le motivazioni, i campioni vengono fuori. Ma Gigi e Andrea sono più che campioni. Vorrei filmarli quando arrivano a Coverciano e fare vedere le immagini ai ragazzini. Dopo 100 partite hanno la stessa voglia del primo giorno. La maglia azzurra, per loro, è una cosa unica».
Il codice etico provoca sempre polemiche.
«C’è confusione, perché la vogliamo creare; c’è molta faziosità, c’è tanto pathos, ci sono i giornalisti tifosi. Solo quando inizia un evento, diventiamo tutti italiani. Il codice, che noi non abbiamo mai chiamato etico, è un modo di essere e nasce a Coverciano, parlando con i ragazzi e con chi aveva più di 100 presenze in nazionale. A loro ho detto che nelle domeniche delle convocazioni non vorrei mai vedere un pugno, una gomitata, un gesto di reazione. E ho chiesto: è giusto che chiami uno che si comporta così? E loro mi hanno detto: no, non è giusto. In questi 4 anni nessun giocatore si è lamentato. Si è lamentato qualche dirigente, ma solo quando ha fatto comodo. Nel momento in cui non ho portato Osvaldo alla Confederations, nessuno ha avuto da ridire perché il campionato era finito. Altre due cose: il giudice sono io e non devo aspettare l’esito della giustizia sportiva. E il codice sarà ridiscusso solo quando i giocatori diranno che non sono più d’accordo».
Dalla sua analisi emerge che i calciatori sono più responsabili di certi dirigenti…
«Una figura che è venuta a mancare nel nostro calcio. Siamo tutti genitori e ai figli ogni tanto bisogna dire di no. E se penso ai grandi modelli del passato penso anche a Boskov: le sue battute sembravano folkloristiche. Adesso che ci ha lasciato, ci rendiamo conto della sua saggezza e della sua intelligenza. Ma bisognerebbe capire subito la grandezza di certi personaggi».
In campionato gioca solo il 38% di italiani…
«Il mondo del calcio comincerà a farsi promotore di un cambiamento vero. Serve qualcuno che vada controtendenza, dobbiamo valorizzare il nostro prodotto. Soltanto la Juve ha giocatori italiani, le altre squadre di prima fascia sono piene di stranieri. E allora dovremo avere bisogno di fare gli stage per valorizzare quelli di Atalanta, Sassuolo, Parma e Livorno».
Il senso del suo discorso è provare a far diventare la nazionale come una squadra di club…
«È una strada. Due anni fa avevamo scelto il rinnovamento, ma quanti ragazzi hanno fatto esperienza a livello internazionale? Se devo fare un Mondiale, è meglio scegliere un giocatore che ha una caratura e una personalità che può reggere il peso di questa competizione».
La sfida con l’Inghilterra è già uno spareggio?
«Gli inglesi sono forti, più forti di quanto fossero all’Europeo perché hanno inserito giovani di qualità e corsa. Inoltre, la prima gara orienta il girone e quindi se non è decisiva, è almeno molto importante».
Poi Costa Rica e Uruguay. Non ci sarà da scherzare…
«Il raggruppamento è duro, ma è meglio così. Costa Rica, lo dico dal giorno del sorteggio, ci stupirà. Nessuno la tiene in considerazione e invece tutti dovremo fare i conti con loro. Però sono contento. Per come siamo noi, meglio un girone tosto che pensare di essere già in semifinale».
Crescono gli oriundi. Dopo Paletta, c’è Romulo: non è sbagliato convocare giocatori che, almeno a livello giovanile, hanno già indossato altre maglie?
«Il mondo cambia e ci adeguiamo. Del resto siamo diventati campioni del mondo con Camoranesi e la Spagna, che ultimamente vince sempre, ha scelto il brasiliano Diego Costa. Noi quindi non ci sentiamo colpevoli».
Come cambierà il suo lavoro dopo il Mondiale brasiliano?
«Si è parlato di commissario unico e di tante cose che non corrispondono alla verità. Per adesso ho dato semplicemente la mia disponibilità e con Abete non abbiamo affrontato i dettagli, neppure dell’aspetto economico. Il futuro però sono i settori giovanili. Le statistiche parlano in maniera chiara: fino a 19-20 anni siamo abbastanza competitivi, poi c’è una specie di vuoto. Bisogna capire come risolvere il problema».
Come trova il campionato italiano rispetto a quelli più importanti in Europa?
«Abbiamo fatto tante riflessioni, ma la conferma del pensiero che avevamo in testa è arrivata dopo la chiacchierata con Ancelotti a Madrid. Lui ha allenato ovunque e ha spiegato una cosa che è una grande verità: noi italiani, quando andiamo in campo, abbiamo già giocato tre partite e dopo la partita stessa siamo distrutti; gli inglesi non hanno problemi e giocano sempre; in Francia c’è abbastanza pressione, ma senza esagerare; gli spagnoli hanno la felicità di giocare e non fanno fatica a recuperare. Questo significa che lo stress da noi è troppo grande».
La Juve però è straordinaria.
«Non solo la Juve. Le prime quattro sono squadre ben caratterizzate, che hanno un’identità precisa. La Roma può pensare di essere già avanti come evoluzione del calcio, con attaccanti che sanno esserlo senza avere un ruolo; il Napoli ha acquisito una dimensione europea, e non è un caso che abbia fatto un ottimo girone di Champions e poi incontrato difficoltà in campionato; la Fiorentina ha perso i due attaccanti, ma ha offerto un gioco piacevole. Mi piacerebbe che Conte e Garcia ricevessero solo complimenti, perché sono nella storia. La Roma l’anno scorso era contestata da tutti e adesso ha abbattuto tutti i suoi record».
E della media borghesia del nostro pallone che ne pensa?
«A Verona non è mai facile, però stimolante; sono stati bravi a trovare ali capaci di sfruttare Toni. L’Atalanta cresce ogni stagione e prepara il salto di qualità, non si accontenterà più della salvezza. Il Parma è forse la squadra con l’età media più alta, significa che Donadoni e lo staff hanno lavorato in modo eccezionale sul piano delle motivazioni. Il Torino ha la garanzia Ventura, che fa giocare sempre bene le squadre. Io però ci aggiungo il Sassuolo, che lotta per salvarsi ma è una di quelle che gioca meglio».
E quali sono le sue favorite al Mondiale?
«Le solite: Brasile, Spagna, Argentina e Germania sono le più forti. Le sorprese, invece, saranno Colombia, Francia e Belgio».
In Brasile non mancheranno le tensioni sociali…
«Non viviamo sotto una campana di vetro. Un anno fa, i primi giorni a Rio erano stati sereni, poi avevamo avuto la sensazione di un malessere generale difficile da contenere. Se in un grande Paese la gente va in piazza, vuol dire che qualcosa non funziona».
L’Italia ha scelto la quiete di Mangaratiba.
«Volete sapere la verità? Ho chiesto a Scolari e lui mi ha suggerito quella zona. Il posto lo aveva opzionato la Germania, ma abbiamo captato che sarebbero andati da un’altra parte e allora ci siamo lanciati noi. Voglio sfruttare gli allenamenti ed evitare di tenere i giocatori in pullman per ore. Un Mondiale si vince con i dettagli. E noi vogliamo fare tutto perbene».
La banana mangiata con il premier Renzi?
«Quello di Dani Alves è stato un gesto meraviglioso, in 30” ha fatto capire tutto a tutti; è stato un messaggio incredibile contro il razzismo. Senza bisogno di dire una parola».